Fonte:
Shalom.it
Autore:
Riccardo Di Segni
Oggi è il 5 dicembre. Tra pochi giorni, il 17, saranno esattamente 50 anni, mezzo secolo, da un sanguinoso attacco terroristico palestinese avvenuto qua a Roma, all’aeroporto di Fiumicino, seguito da un dirottamento. 34 morti. Non so se qualcuno dedicherà il suo tempo e la sua attenzione al ricordo e soprattutto alla riflessione sul significato di quella azione. So in compenso che nei giorni passati nelle Università italiane, da Torino all’Orientale di Napoli, è stata ospitata con tutti gli onori, in collegamento a distanza, la protagonista di precedenti dirottamenti, avvenuti nel 1969 e 70. Ascoltata come un’eroina esemplare, solo blande proteste dei responsabili accademici preoccupati più per la sospensione delle lezioni che per la natura dell’evento.
Prima costatazione: in questo schema logico ci sono da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, gli oppressi contro gli oppressori. E se si sta dalla parte dei primi ogni sistema di lotta è lecito, terrorismo compreso, o perlomeno scusabile. Pensiamo, per fare un esempio, alla violenza sulle donne. Si manifesta nelle piazze per condannarla, giustamente, ma se le vittime sono donne israeliane ebree non meritano attenzione. Anzi si sventolano le bandiere di chi le ha violentate.
Poi c’è l’altro meccanismo: l’accusa all’altra parte di essere parimenti terrorista. Tutti uguali, tutti sullo stesso piano. Solo che c’è sempre uno più uguale dell’altro. È un meccanismo perverso che colpevolizza l’oggetto e non il soggetto della violenza, che gli nega il diritto alla difesa e alla vita. L’unica cosa che gli è consentita è farsi ammazzare e allora ti posso benignamente compatire. Ma non reagire. Come ha detto un’operatrice umanitaria, sì avete capito bene l’operatrice di una grande organizzazione che si definisce umanitaria, l’esistenza stessa di Israele è un peccato originale.
La storia è vecchia e gira da decenni. La vittima è diventata persecutrice. Un’idea diabolica che nega dignità, espone all’aggressione e, allo stesso tempo, libera dai complessi di colpa un intero mondo che ha consentito la Shoà. Fa parte di questo gioco l’uso delle parole, come genocidio e apartheid, le scritte che equiparano la stella di David alla svastica, che ribaltano la prospettiva, terrorismo delle parole.
Anche se non dobbiamo perdere di vista questo punto: le parole sono gravi, molti si sono scandalizzati e a ragione perché sono state bruciate le pietre di inciampo e per le scritte sui muri, ma non l’hanno fatto per qualcosa di molto più grave, la strage del 7 ottobre.
Questo meccanismo sta in questo momento colpendo gli ebrei ma è parte di un attacco più ampio a tutto l’occidente democratico. Voi occidentali –si dice- non potete parlare, non potete criticare perché siete in difetto, razzisti, colonialisti e quant’altro. Queste accuse sono ampiamente condivise da pensatori, opinion maker, docenti universitari, ma partono da sistemi dittatoriali e autocratici che calpestano qualsiasi diritto umano, ribaltando contro gli altri le accuse, è un modo abilissimo di guerra psicologica e non ce ne accorgiamo.
Non ci sono società ideali immuni da difetti ma ce ne sono sicuramente alcune molto difettose. È la scala di valori che si sta perdendo. È bello invocare la pace e la cessazione delle violenze. È terribile vedere chi soffre da qualsiasi parte stia. Ma la parola pace perde di senso se non c’è un progetto politico credibile, se non c’è una volontà bilaterale, se non si estirpa e si sconfigge il male.
Ecco perché le comunità ebraiche manifestano questa sera: per denunciare le falsità e i rischi per tutta la società.
Concludo con le parole del profeta Zekharia (8:19): “Amate la verità e la pace”.