Fonte:
La Repubblica
Autore:
Stefano Folli
La sinistra e l’antisionismo
Uno degli striscioni esibiti sabato a Roma nella manifestazione pro-Palestina diceva: “siamo antisionisti non antisemiti”. Riproponeva quindi l’ambiguità che da sempre lacera il rapporto tra una parte almeno della sinistra europea, in particolare italiana, e Israele. Una lacerazione irrisolta che talvolta scivola — magari in modo irrazionale, quasi inconscio — in forme di antisemitismo che a parole sono negate. Dichiararsi “antisionisti” in questo frangente, con i terroristi di Hamas e uno Stato, l’Iran, il cui obiettivo è la distruzione fisica di quella definita non a caso “l’entità sionista”, significa di fatto condividere l’odio antiebraico fino alle estreme conseguenze. Fingendo di dimenticare che Israele nasce dal movimento sionista, ne è la logica incarnazione. Non tutta l’estrema sinistra è prigioniera di questo equivoco, ma esiste una zona grigia assai ampia che attende di essere rischiarata, se mai vorrà esserlo. Sotto tale profilo è molto significativo il breve discorso del vicecancelliere tedesco, Robert Habeck, che è uomo della sinistra “verde”. In Germania è stato descritto come uno dei migliori interventi pubblici della recente storia tedesca e qualcuno ha osservato che spettava al cancelliere Scholz, un socialdemocratico, essere così chiaro e tempestivo. Invece ha parlato il suo vice e si è si rivolto ai suoi concittadini, ma a ben vedere le sue parole meritano di essere meditate da tutti gli europei. O per essere più precisi, dagli europei che si considerano appartenenti alla famiglia progressista. Habeck ha detto in sostanza che parlare di «sicurezza» per Israele non pub essere una frase vuota. Al contrario, è un impegno concreto. «Significa che la sicurezza di Israele è essenziale per noi (tedeschi, ndr) in quanto nazione. La speciale relazione con Israele deriva da una nostra responsabilità storica. La generazione dei miei nonni fu quella che si propose di sterminare gli ebrei in Germania e in Europa. Dopo l’Olocausto, la fondazione di Israele conteneva la promessa di protezione per gli ebrei. La Germania è obbligata a garantire che tale promessa sia mantenuta nel tempo». Qui si arriva al punto cruciale: la responsabilità storica tedesca, continua Habeck, si estende alla vita e alla piena libertà degli ebrei oggi in Germania. Nessuno di loro dovrebbe temere per l’esercizio dei suoi diritti o per la professione della sua religione. Invece è proprio quello che sta accadendo. Il vicecancelliere fa degli esempi, si mostra preoccupato. Non esita a denunciare l’antisemitismo. Nota che è facile esprimere solidarietà alla comunità ebraica di fronte agli episodi di intolleranza che la toccano, mentre questo sentimento diventa subito fragile quando si parla di Israele. Ecco il nesso subdolo tra antisionismo e antisemitismo che altri, anche in Italia, fanno fatica ad accettare. Un politico tedesco, appartenente alla famiglia della sinistra, non esita invece a denunciare l’equivoco e a vedere il pericolo che avanza. Habeck parla ai tedeschi, certo, ma guai a considerare il suo discorso come una questione interna che investe le colpe storiche della Germania, il suo presente e i rapporti col mondo ebraico. È evidente invece che il tema coinvolge la coscienza europea. E pone un interrogativo di fondo: cosa significa essere europei se si resta indifferenti all’antisemitismo esplicito e anche implicito che si diffonde ai nostri giorni, a 80 anni dall’Olocausto? In Italia si attende ancora che un esponente della politica decida di usare gli stessi toni ultimativi del vicecancelliere. A destra, naturalmente, dove esistono le responsabilità storiche. E a sinistra, dove non si esce dall’ambiguità che riguarda il rapporto con Israele e con l’opinione pubblica domestica.
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