Fonte:
La Repubblica
Autore:
Lorenzo Vidino
Se torna il jihadismo
Difficile pensare che i due attentati terroristici registrati in Francia e Belgio nelle ultime ore non siano almeno parzialmente correlati a quanto sta succedendo in Medio Oriente. Episodi apparentemente isolati ma che ci riportano, anche per le dinamiche degli attacchi, a qualche anno fa, quando il jihadismo colpiva con regolarità l’Europa. Ad Arras, nel Nord della Francia, un ceceno è entrato in una scuola e ha ucciso un professore, una dinamica che a tutti i francesi ha immediatamente ricordato Samuel Paty, altro professore decapitato nel 2020 in un liceo dopo essere stato (falsamente) accusato di aver mostrato vignette offensive sul profeta Maometto. A Bruxelles, invece, un tunisino di 45 anni ha ucciso due tifosi svedesi in città per il match della loro nazionale di calcio, postando poi un video nel quale si dichiarava un «soldato dello Stato Islamico» e diceva di aver vendicato l’onore dell’islam. Una frase che fa pensare che a motivarlo sia stata la campagna mediatici che da mesi gruppi islamisti hanno lanciato contro il Paese scandinavo, reo di tollerare che dei provocatori abbiano ripetutamente bruciato il Corano. Un legame diretto con Gaza non pare evidente, ma come non pensare che i due attentatori, entrambi noti da tempo all’intelligence come radicalizzati, non si siano auto-attivati proprio adesso, passando dal jihadismo da tastiera all’azione, sotto la spinta emotiva di quanto sta succedendo a Gaza? Da giorni il conflitto domina ogni conversazione, non solo in tv e sui giornali, ma ancora di più in moschee radicali e angoli del web di ispirazione islamista. Immagini di morte, incitamento all’odio, desiderio di vendetta con riferimenti religiosi. E quello che lo studioso francese Gilles Kepel chiama jihadismo atmosferico, una cassa di risonanza che inevitabilmente spinge alcuni soggetti, anche se privi di ogni contatto operativo con qualsiasi gruppo jihadista, ad attivarsi. E se i loro obiettivi non sono immediatamente riconducibili al conflitto israelo-palestinese, lo sono per chi adotta l’ideologia jihadista. I bombardamenti a Gaza, le vignette sul profeta, il bruciare il Corano, sono tutti eventi che rafforzano una narrativa complottista che vede una coalizione di “infedeli” (i cristiani, gli ebrei, gli induisti, gli stessi musulmani che adottano una visione moderata dell’islam) volta a cospirare contro l’islam e a soggiogare i musulmani. Stiamo allora vivendo il ritorno del jihadismo? Difficile dirlo. Esattamente come era sbagliato pensare, come tanti facevano fino a qualche giorno fa, che il fenomeno fosse morto, è prematuro dire che stiamo per affrontare una nuova ondata di terrorismo in Europa. Individui radicalizzati e network organizzati legati al jihadismo internazionale sono presenti in Europa da decenni. Eventi geopolitici esterni sono storicamente i fattori che fanno aumentare la pericolosità di questo sottomondo, gonfiandone le fila, attraendoli in zone di conflitto e incitandoli a compiere attentati in Europa. Fu così per l’11 settembre, l’invasione dell’Iraq e, dieci anni fa, per la guerra civile siriana e i successi sul terremo dell’Isis e di altre milizie jihadiste. Se il nuovo conflitto mediorientale rappresenterà una nuova fase del jihadismo globale, con tutte le conseguenze del caso anche in Europa, è impossibile da prevedere al momento. Ma è certo che già adesso ci sono riverberi importanti da noi: i “piccoli” attentati sopracitati, le tensioni di piazza, le spaventose dimostrazioni di antisemitismo e, rovescio della medaglia non meno problematico, il crescente odio contro i musulmani (giorni fa, in Illinois, un uomo ha assalito una famiglia palestinese uccidendo il figlio di 6 anni al grido di «voi musulmani dovete morire!»). L’Italia è stata storicamente meno toccata dal fenomeno jihadista rispetto ai Paesi del centro-nord Europa: meno radicalizzati e meno foreign fighters, nessun attacco riuscito, una situazione gestita bene dal nostro antiterrorismo. Ma i successi del passato non sono garanzia di quelli futuri. E l’intelligence italiana esprime preoccupazioni per potenziali episodi di emulazione da parte di soggetti isolati, per la possibilità di infiltrazioni dei flussi migratori difficilmente controllabili, e per un crescente disagio tra le seconde generazioni, dinamica che ha caratterizzato il fenomeno jihadista del centro-nord Europa.
Lorenzo Vidino è il direttore del Programma sull’Estremismo presso la George Washington University