Fonte:
Riflessi Menorah
Autore:
Massimiliano Boni
Che differenze ci sono tra antigiudaismo e antisemitismo? La Chiesa è immune da entrambi i pregiudizi? Lo abbiamo chiesto a un giovane ricercatore di teologia
Giulio Mariotti insegna teologia biblica dell’Antico testamento all’Issr di Bolzano e Storia antica di Israele alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale di Firenze
Dottor Mariotti, possiamo cominciare tracciando una differenza tra antigiudaismo e antisemitismo?
Direi che la differenza principale è questa: l’antisemitismo si caratterizza per essere un comportamento ostile verso gli ebrei inteso come popolo, alimentato da un pregiudizio di tipo razziale; al contrario, l’antigiudaismo è un pregiudizio verso la religione giudaica, nato molti secoli fa all’interno del cristianesimo. Il teologo Pietro Stefani ne dà un’interpretazione interessante, caratterizzandolo come una visione distorta e stereotipata dell’ebraismo, che ha portato a sostenere che Dio avesse abbandonato gli ebrei in favore dei cristiani e che il rifiuto della messianicità di Gesù fosse stato degno di punizione. In sintesi, quindi, direi che l’antisemitismo nasce da pregiudizi razziali, mentre l’antigiudaismo nasce da pregiudizi religiosi.
Nella pratica però è difficile distinguere le differenze.
In effetti, soprattutto in passato, antisemitismo e antigiudaismo sono andati avanti di pari passo. Va però ricordato che storicamente nasce prima l’antigiudaismo, verso il secondo, terzo secolo. Alla base di questo pensiero c’è la teologia della sostituzione, per cui il cristianesimo è chiamato a sostituirsi all’ebraismo, e la teoria del deicidio, per cui come sappiamo gli ebrei sono stati a lungo accusati di aver ucciso Gesù.
Si può essere antigiudaici senza essere antisemiti, o il contrario?
Secondo me nell’antisemitismo è sempre racchiuso l’antigiudaismo. Questo perché l’odio ebraico espresso dall’antisemitismo viene alimentato, e nel passato si è diffuso, grazie a qualsiasi argomentazione possa trovare, quindi comprese quelle dell’antigiudaismo. Al contrario, non sono sicuro che l’antigiudaismo equivalga sempre a essere antisemiti, almeno da un punto di vista teorico. In ogni caso, come ho detto, nei fatti i due pensieri vanno spesso insieme.
La Chiesa oggi condanna convintamente e apertamente l’antisemitismo. A suo avviso, tuttavia, sono presenti al suo interno dei pregiudizi antigiudaici?
Farei innanzitutto una precisazione preliminare.
Prego.
Se guardiamo alla società italiana di oggi, una società post-cristiana, ci rendiamo conto che certi pregiudizi e stereotipi legati all’antisemitismo sono sempre presenti, come testimoniato ad esempio dal rapporto annuale elaborato dal Cdec. Si tratta di pregiudizi ancorati a una certa visione del mondo, che dipendono soprattutto da fattori culturali; l’immagine dell’ebreo avaro, o cospiratore contro il mondo, sono espressioni di questo sentire. Se invece guardiamo all’interno della Chiesa, certamente a livello ufficiale e formale viene condannato anche l’antigiudaismo, grazie a un percorso cominciato subito dopo la Seconda guerra mondiale e accelerato col Concilio Vaticano II. Tuttavia, a me sembra che alcune resistenze rimangano, seppure a volte a livello inconsapevole.
A cosa si riferisce?
Da una parte bisogna considerare che, dopo 2000 anni di storia, è davvero difficile cancellare in poco tempo tutti i pregiudizi accumulati. Dall’altro noto che il voler spingere sul tema dell’affermazione del primato della religione cristiana, talvolta fa calcare la mano su alcuni argomenti cari alla teologia della sostituzione, il che rischia di rinfocolare quel pregiudizio antigiudaico che a parole si condanna.
Quindi il cristianesimo si considera ancora superiore a ogni altra religione?
Io credo che nessuna religione possa considerarsi superiore alle altre, ma qui entrano in gioco anche retaggi storici. Non dobbiamo dimenticare che il movimento dei discepoli di Gesù nasce come una delle tante correnti all’interno del variegato mondo del giudaismo del primo secolo e che si distaccherà da esso solo agli inizi del secondo. Benché io sia convinto che la radice giudaica del cristianesimo non possa essere cancellata, anzi sia un suo valore fondamentale, per molto tempo si è cercato al contrario di rimarcare una presunta discontinuità ed emancipazione del cristianesimo nascente rispetto al giudaismo coevo, di cui invece era parte integrante. Questo è ciò, che se non viene compreso, continua ad alimentare posizioni sostituzioniste.
E a livello teologico e accademico?
A livello accademico, soprattutto in ambito internazionale e negli studi non confessionali, non ci sono ormai resistenze particolari: tutti i testi del Nuovo Testamento vengono considerati pienamente giudaici e appartenenti al patrimonio letterario del giudaismo del Secondo Tempio.
E nelle facoltà teologiche pontificie?
A parole anche qui l’antigiudaismo è condannato. A volte, tuttavia, da parte di alcuni studiosi, prevale la tendenza di puntare l’attenzione verso una discontinuità del messaggio cristiano rispetto al giudaismo, compiendo a mio avviso due errori.
Quali?
Il primo è mettere in contrapposizione il cristianesimo al giudaismo, quando come ho detto soltanto dalla rivolta di Bar Kokhbah, o al massimo agli inizi del secondo secolo, si può parlare di due entità distinte quali il giudaismo rabbinico e il cristianesimo. Il movimento dei discepoli di Gesù non aveva nella sua natura l’emancipazione dal giudaismo, si è trattato esclusivamente di un fatto storico-contingente. Il secondo errore è quello di descrivere la figura di Gesù in modo del tutto avulso dalle sue radici giudaiche. Bisogna invece considerare che ai tempi di Gesù e dell’apostolo Paolo non c’erano mezze misure: o si era ebrei o si era gentili, cioè non ebrei. Mi sembra evidente che Gesù va considerato non una via di mezzo e che lo schema hegeliano dello sviluppo del cristianesimo in tre fasi non possa essere accolto.
Questi due errori, come li considera lei, sono dunque ancora presenti all’interno del pensiero della Chiesa?
In parte sì. Il fatto che non vengano sostenuti ufficialmente non deve far dimenticare che c’è ancora una certa resistenza a liberarsi dei pregiudizi antigiudaici. È come se ci fosse il timore di perdere in tal modo l’originalità del cristianesimo, quando invece, ripeto, si tratta di comprendere che all’interno del giudaismo del primo secolo c’erano vari gruppi e movimenti, uno dei quali ha dato vita a ciò che oggi conosciamo come cristianesimo. Il movimento dei discepoli di Gesù, come gli altri gruppi giudaici aveva le sue peculiarità e la sua originalità, ma non in discontinuità con la tradizione giudaica in sé.
Eppure, il cristianesimo ha ricevuto anche una profonda influenza dall’ellenismo.
È questo un punto nevralgico, attorno al quale si accendono molte dispute in campo accademico. Tutto il giudaismo del secondo Tempio è stato permeabile a influenze ellenistiche, si è trattato di due culture che per un certo tratto si sono incontrate e influenzate a vicenda. Riguardo al cristianesimo, tutta la patristica, ossia il pensiero dei teologi dei primi secoli dell’era volgare, è stata di fatto influenzata dall’ellenismo, fino, in molti tratti, a ricoprire l’impianto semitico e giudaico che c’è nel corpus neotestamentario e le sue idee che sono un tentativo di risposta ai grandi interrogativi che animavano il dibattito giudaico del Secondo Tempio.
Per concludere, vorrei analizzare con lei due luoghi comuni che fanno affiorare un pregiudizio antigiudaico. Il primo è legato alla figura dei farisei, che nel linguaggio corrente, anche all’interno della Chiesa, sono ancora associati a una visione ipocrita, menzognera, insomma negativa.
Io credo che qui giochi un ruolo importante la storia e i pregiudizi degli ultimi due millenni, in cui i farisei sono stati dipinti come i nemici di Gesù e dei suoi discepoli. Pochi anni fa, il Pontificio Istituto Biblico organizzò un grande convegno per far luce su chi fossero davvero i farisei. Si è trattato di un momento importante per cambiare linguaggio, e per cancellare uno stereotipo generale, che nasce dal contrapporre anacronisticamente il nascente movimento dei discepoli di Gesù al successivo giudaismo rabbinico (presentato in una forma stereotipizzata). Oggi molti studiosi pensano che il contrasto fra farisei e Gesù fosse semplicemente una diatriba interna al giudaismo plurale dell’epoca, in cui i due gruppi presentavano molti punti in comune come afferma lo specialista Joseph Sievers. Purtroppo, 2000 anni di storia e di pregiudizi hanno compromesso una piena comprensione dei farisei.
Il secondo pregiudizio è quello che si riferisce al sacrificio di Isacco, così chiamato dal cristianesimo, dal quale emergerebbe che il Dio degli ebrei è un Dio severo, lontano, e forse anche ingiusto.
Secondo me anche questi pregiudizi sono il retaggio di un passato, sono il frutto di una determinata storia che ha caratterizzato per circa 2000 anni il rapporto fra ebrei e cristiani. È chiaro che anche a riguardo occorre aumentare la conoscenza e la sensibilità delle persone. Non è detto che l’utilizzo di certi stereotipi sia sempre un’espressione di un pensiero volutamente antigiudaico ed è bene non generalizzare. Piuttosto, bisogna valutare il modo in cui in cui certe espressioni sono usate.
Cosa intende?
Alcune volte si ripetono in modo del tutto inconsapevole dei pregiudizi, altre se ne fa un uso più consapevole, magari per marcare una presunta superiorità, il che nasconde in effetti un pregiudizio antigiudaico. Direi, però, che, come ha scritto e spiegato Davide Assael utilizzando l’espressione «igiene linguistica», occorre sempre fare attenzione all’utilizzo di un linguaggio accurato, che sia ripulito da ogni possibile rischio di pregiudizio. Non si possono infatti lasciare spazi che consentano la diffusione e l’affermazione di idee antigiudaiche.