Fonte:
La Repubblica edizione di Bologna
Intervista a Daniel Vogelmann dopo l’ assoluzione e il ricorso della procura
“Io, parte civile contro la Ticchi perchè Auschwitzland istiga all’odio”
«E’ assurdo. Se non è quella istigazione all’odio…». Daniel Vogelmann – fondatore della casa editrice Giuntina e figlio di Schulim Vogelmann, l’unico italiano nella lista di Oskar Schindler – è stato l’unico a costituirsi parte civile come singolo nel processo in primo grado contro Selene Ticchi, che nel 2018 a Predappio indosso la maglietta nera con la scritta “Auschwitzland”, caratteri tipografici Disney per rappresentare il campo di concentramento di Auschwitz. Il tribunale di Forlì a gennaio ha assolto la militante di destra «perché il fatto non costituisce reato», e ora sono pubbliche le motivazioni: perché non ha istigato all’odio. «So che quella sentenza è stata impugnata dal procuratore. Io ritengo che sia l’opposto di quanto stabilito dal tribunale».
Vogelmann, perché vuole una condanna per quel gesto, compiuto a Predappio nell’anniversario della marcia su Roma?
«Non mi importa se multeranno Selene Ticchi di un euro odi mille non è quello il punto. Ma deve passare il messaggio che quello che lei ha fatto non si pub fare: si tratta di un comportamento antisemita. Vorrei vedere cosa accadrebbe se a essere derisa in quel modo fosse stata un’altra minoranza, o che ne so, la magistratura stessa».
Se non si condanna quel gesto non ritenendolo un reato come stabilito in primo grado, di fatto lo si avalla?
«Sì, ne sono convinto. Poi col legale se magari si riescono a trovare delle giustificazioni, e si arriva a stabilire che non è un reato. Ma la derisione subita a fronte della più grave tragedia del Novecento per me è qualcosa persino più grave di un reato».
Lei crede che la società civile abbia compreso che quel gesto di Selene Ticchi nascondeva una derisione della sofferenza patita dal popolo ebraico?
«L’ha capito persino Forza nuova (che ha cacciato Ticchi dopo l’episodio del 2018, ndr), si figuri se non l’ha compreso la gente normale. Poi capisco – e sto per usare un’iperbole – che il problema vero sono le bollette che aumentano, non se sono stati uccisi sei milioni di ebrei. Ribadisco: non chiedo chissà quale condanna, ma almeno che si stabilisca che quello di Selene Ticchi è stato un comportamento antisemita. Mi pare proprio il minimo». l.l.p.
Photo Credits: La Repubblica edizione di Bologna