Fonte:
Mosaico
Autore:
Pietro Baragiola
Il 29 marzo, durante una riunione del Consiglio delle Nazioni Unite tenutasi a Ginevra in occasione del 75esimo anniversario della dichiarazione mondiale dei diritti umani, i principali rappresentanti delle società calcistiche europee si sono messi all’opera per contrastare una volta per tutte il fenomeno dell’antisemitismo nel mondo dello sport.
Questo incontro, organizzato dal WJC (World Jewish Congress) è stato chiamato Combattere l’antisemitismo all’interno e attraverso gli sport e ha portato i diversi paesi a riflettere su quali siano state le attività che nel corso degli anni sono riuscite a contrastare questo comportamento nocivo per la società. Il risultato è stata la fondazione di un’iniziativa chiamata Combattere l’antisemitismo nello sport che, grazie a raccolte fondi volte a promuovere progetti d’insegnamento, vuole diffondere nel mondo la consapevolezza che l’antisemitismo merita un’area di analisi a sé stante nel campo della discriminazione sportiva, per essere sconfitto il prima possibile.
Il segretario generale della UEFA Champions League, Theodore Theodoridis, e il CEO del Chelsea Football Club, Simon Taylor, sostengono che l’educazione ha un ruolo chiave nella lotta contro l’antisemitismo ed è compito dei club e delle associazioni calcistiche istruire i propri fan sui pericoli derivati dall’odio.
L’antisemitismo nel calcio
Molti sono gli episodi anche recenti di antisemitismo nel calcio italiano. Un esempio calzante è rappresentato dal derby Lazio-Roma tenutosi nella capitale italiana domenica 19 marzo dove un ultras laziale di origine tedesca è entrato tra le tribune dello stadio Olimpico con indosso una maglia inneggiante Adolf Hitler.
La rappresentazione della Roma non ha risposto con grande stupore a questo gesto in quanto afferma che “I cori antisemiti sono un problema trentennale della tifoseria della Lazio”. Secondo il team romano non ci sarebbe stato un derby dalla metà degli anni ’80 in cui i fan della squadra rivale non abbiano intonato lo sprezzante coro “giallorosso ebreo”.
Il 2023 però ha mostrato un punto di svolta nella storia del calcio italiano: per la prima volta, è stato applicato il codice etico contro una discriminazione antisemita e la Lazio ha imposto la revoca a vita all’ultras tedesco e ad altri due che hanno ripetutamente rivolto il saluto romano durante la partita.
È giusto ricordare che l’antisemitismo nel mondo del calcio non è un fenomeno relegato al nostro paese ma diffuso in tutto il mondo. Solo nel 2022 sono stati numerosissimi gli episodi di stampo antisemita avvenuti nei diversi paesi europei: durante un volo per il Belgio due fan del West Ham United di Londra si sono divertiti a tormentare un passeggero ebreo con battute crudeli sulla fede ebraica; una società calcistica britannica ha perso il suo sponsor dopo aver mostrato manifesti contro Israele durante le sue partite; una squadra giovanile tedesca è stato multata e due dei suoi giocatori sono stati sospesi dopo uno sfogo antisemita rivolto ai loro rivali tedeschi di origine ebraica.
Nonostante multe e revoche ottengano l’effetto sperato nell’allontanare l’antisemitismo dagli stadi sportivi, molti paesi hanno capito che, per eradicare questo comportamento, occorre una rieducazione dei responsabili che faccia capire loro la gravità delle loro affermazioni. Seguendo questa linea di pensiero quando alcuni tifosi del Feyenoord Rotterdam hanno creato un murale antisemita con la scritta “Gli ebrei fuggono sempre” per criticare il trasferimento del loro capitano, Steven Berguis, verso la rivale Ajax, le autorità olandesi hanno obbligato i responsabili a visitare il memoriale dell’Olocausto per vedere in prima persona gli effetti di questo comportamento crudele.
Educare i fan
È proprio su questi ideali di rieducazione e cooperazione che si basa Combattere l’antisemitismo nello sport grazie anche al contributo dell’associazione tedesca WhatMatters. L’obbiettivo di questa nuova iniziativa è riunire le attività svolte dai singoli paesi per contrastare internamente la minaccia dell’antisemitismo, creando una rete internazionale che porti queste attività a relazionarsi l’una con l’altra.
“Lo sport può essere un mezzo utile a promuovere la pace, la tolleranza e il rispetto per il diritti umani” afferma Irini Karipidis, presidentessa dell’Aris Tessaloniki, una dei primi club calcistici in Grecia. Quest’associazione si è messa in gioco per sostenere l’educazione dei suoi fan organizzando raccolte fondi a favore del museo dell’Olocausto a Salonicco, una città severamente colpita dalla II Guerra Mondiale: dei 50.000 ebrei deportati, solo il 2% è sopravvissuto.
La responsabilità di educare i tifosi sulle ripercussioni che comportamenti antisemiti possono avere sulla società di oggi spetta proprio alle associazioni e i club calcistici di cui questi ultrà fanno parte secondo Simon Taylor, presidente del Chelsea Football Club. Come riportato sul magazine online The Algemeiner, Taylor afferma che “il calcio ha un potere unico di ispirare ed educare, infatti una partita è in grado di riunire persone e comunità di mentalità diversa”. Un barlume di speranza di questa cooperazione tra tifosi contro l’antisemitismo è rappresentato dal murale che è stato esposto fuori dallo stadio Stamford Bridge di Londra per ricordare i tre calciatori deportati e uccisi nei campi di concentramento durante la II Guerra Mondiale.
Secondo il Dr. Andreas Kahrs, portavoce di Combattere l’antisemitismo nello sport, la nuova iniziativa lavorerà principalmente su tre pilastri: combattere direttamente le azioni antisemite; mantenere viva la memoria dell’Olocausto; sottolineare l’eredità degli atleti ebrei e il loro contributo al mondo dello sport.
Kahrs riafferma l’importanza dello sforzo collettivo in questa logorante quanto decisiva battaglia e invita associazioni, club e organizzazioni internazionali a prendere parte per garantire un domani più inclusivo al mondo dello sport.
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