Fonte:
www.swissinfo.ch/
Autore:
Benjamin von Wyl
Negli ambienti di sinistra, l’antisemitismo è tabù in Svizzera. Davvero?
L’antisemitismo è diffuso nella società, anche negli ambienti di sinistra. Come viene percepita questa ostilità nei confronti degli ebrei da storici e storiche, popolazione ebraica e attivisti e attiviste?
A spasso con la carrozzina, per strada Amir Malcus si imbatte in un bar alternativo di sinistra. Un cartello informa che il personale non tollera il razzismo, il sessismo, l’omofobia e altre forme di discriminazione. Nella lista manca però un termine: l’antisemitismo. Una dimenticanza che non sorprende l’assistente sociale: una disattenzione tipica della sinistra.
Per anni, Malcus è stato attivo politicamente. Oggi è deluso dalla sinistra. “È stato frustrante rendermi conto quanto fosse diffuso l’antisemitismo nella parte di società in cui credevo”, dice il trentasettenne.
L’antisemitismo è purtroppo presente anche nei partiti di sinistra. SWI swissinfo.ch ha chiesto a persone di religione ebraica, storiche e storici, attivisti e attiviste di sinistra come vivono questo atteggiamento di ostilità nei confronti degli ebrei negli ambienti della sinistra.
L’antisemitismo era all’ordine del giorno nella valle in cui è cresciuto Malcus. Nei piccoli gruppi che occupavano abusivamente le case ha lottato contro alcuni stereotipi, ad esempio che tutte le persone ebree sono ricche. Quando ha lasciato la valle e il suo interesse si è spostato su temi globali, si è reso conto che l’antisemitismo non era confinato nella sua valle: era ovunque.
Negli incontri ha regolarmente vissuto degli attacchi verbali contro Israele: “Slogan quali ‘Bruceremo il vostro Paese’ non erano rivolti direttamente a me, ma li ho sentiti”. Durante le manifestazioni contro l’Iraq o il Forum economico mondiale WEF di Davos, Malcus è rimasto turbato dall’impiego acritico di rappresentazioni di capitalisti che ricordavano le caricature antisemite.
Una critica semplicistica del capitalismo rischia infatti di riprendere la concezione del mondo secondo cui alcuni “burattinai” comandano il pianeta. È un’idea che si rifà a immagini antisemite di lunga data. Nel 2016, ad esempio, durante la campagna in vista di una votazione popolare i Giovani socialisti svizzeri (GISO) pubblicarono la caricatura di uno “speculatore” con un naso pronunciato, cappello a cilindro in testa e lunghi boccoli.
“L’antisemitismo cambia facilmente aspetto”, spiega Dina Wyler della Fondazione contro il razzismo e l’antisemitismo GRA. “Si adatta sempre alla narrazione del momento e per essere ‘presentabile’ usa un linguaggio metaforico o parole in codice”.
Demonizzazione di Israele
Per decenni, la sinistra svizzera ha messo in conto gli attacchi contro Israele che Malcus ha vissuto negli anni Duemila. Nel periodo della Seconda guerra mondiale, durante la sua infanzia, Emanuel Hurwitz è stato coperto da ingiurie antisemite ed era il bersaglio del lancio di pietre da parte di altri bambini.
“Un antisemitismo così palese non l’ho più vissuto negli ambienti della sinistra”, ha ricordato Hurwitz a colloquio con swissinfo.ch. Dopo gli studi è stato attivo nelle file del Partito socialista (PS). In seguito, si è conquistato una poltrona nel parlamento del Canton Zurigo, dove le sue posizioni politiche si collocavano nell’ala sinistra del partito. Secondo Hurwitz, negli anni Settanta il PS aveva un atteggiamento ponderato nei confronti del conflitto in Medio Oriente.
Una posizione che è cambiata con l’inizio della guerra in Libano, dove Israele era considerato l’aggressore. “Dal 1982 c’era un’enorme tensione nel PS”, ha rammentato Hurwitz. Come rappresentante degli ebrei nella sinistra venne invitato a innumerevoli conferenze e tavole rotonde che spesso erano “mera propaganda a favore dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP)”. In quegli incontri ha notato che venivano frequentemente usate le stesse “strane argomentazioni”: Israele era il male e l’OPL palestinese doveva godere di ampio sostegno.
“L’odio e il fanatismo” lo sorpresero e lo colsero impreparato. Per questa demonizzazione di Israele aveva una sola spiegazione: “l’antisemitismo”. Hurwitz, di professione psichiatra, provò a spiegare ai suoi compagni e alle sue compagne di partito come mai dei pregiudizi secolari potessero riemergere in una situazione politica così tesa.
Ma nessuno lo ascoltò davvero. Il 1° maggio 1984, Hurwitz lasciò il parlamento e il partito. Una decisione che non ha mai potuto discutere in maniera approfondita con la sezione zurighese del PS. Dal 2019, il PS Svizzero ha fatto sua la definizione di antisemitismo operativa dell’International Holocaust Remembrance Alliance IHRA, definizione riconosciuta nel 2021 anche dal Consiglio federale. Prima della sua morte, nel febbraio di quest’anno e all’età di 86 anni, Hurwitz esprimeva a swissinfo.ch la sua soddisfazione per il fatto che il partito si fosse ravveduto.
Analizzare criticamente i simboli antisemiti
Berthold Rothschild era legato a Emanuel Hurwitz da una lunga amicizia. Negli anni Ottanta, Rothschild era membro del Partito del lavoro (PdL). Israele era stato considerato a lungo una “nazione eroica in procinto di nascere”, ricorda Rothschild. “A un certo punto, l’opinione è cambiata”. I membri del partito argomentavano usando degli stereotipi, ad esempio che non ci si poteva fidare delle persone di religione ebraica perché avrebbero tradito chi era di sinistra. Un atteggiamento che ha spinto Rothschild a lasciare il PdL nello stesso periodo in cui lo fece Hurwitz.
Rothschild sottolinea il dilemma dinanzi a cui si trova tutt’ora quando pensa a Israele e alla Palestina: tra i suoi amici e le sue amiche ce ne sono alcuni che non volevano vedere l’odio che Hezbollah e Hamas provavano nei confronti del popolo ebraico. È stato sempre molto legato a queste amicizie, ma più di una volta se n’è andato a casa, sbattendo la porta, dopo aver assistito ad accese discussioni palesemente antisemite. Nello stesso tempo capisce che la politica israeliana e il suo comportamento con il popolo palestinese possa suscitare l’indignazione di molte persone di sinistra, uno sdegno spesso giustificato.
Un’amica si adopera in favore della popolazione di Gaza. “Capisco che si possa diventare filopalestinesi se si vive personalmente la situazione sul campo. E ciò può portare a diventare dei fanatici antiisraeliani”. Antiisraeliano non significa però antisemita. “Ma è facile scivolare da un atteggiamento all’altro”. Stando a Rothschild, nella sinistra, l’antisemitismo è irrisolto, rinnegato, represso.
Per non usare simboli antisemiti, le attiviste e gli attivisti devono essere molto attenti. “Come io sono consapevole dell’impronta razzista che mi dà la società, spero che anche altri siano coscienti dei tratti antisemiti che si portano addosso”. Alcune amicizie, che fanno parte del PS, gli sottopongono a volte dei testi o dei volantini politici affinché li legga alla ricerca di stereotipi antisemiti. Ma sono piuttosto delle eccezioni.
Stando al responsabile supplente del Centro di studi ebraici dell’Università di Berna Erik Petry, bisogna valutare caso per caso. “Spesso c’è una miscela tossica che non si fonda su una critica alla politica dello Stato, bensì sulla supposizione che alla base ci sia un comportamento immorale che abbia a che vedere con il fatto di essere ebreo”. Ed è ciò che Petry individua spesso nella sinistra.
Paragonare Israele al nazionalsocialismo
Le avversarie e gli avversari politici mettono in risalto l’esistenza di un antisemitismo di sinistra. La storica Christina Späti nota che alcuni membri dei partiti di “destra” si vogliono “discolpare” dall’accusa di antisemitismo. Ma ciò non significa che l’antisemitismo non esista nella sinistra, dice la professoressa dell’Università di Friburgo e dell’UniDistanza Svizzera.
Nella sua tesi di dottorato “Die schweizerische Linke und Israel – Israelbegeisterung, Antizionismus und Antisemitismus zwischen 1967 und 1991” (La sinistra elvetica e Israele – l’entusiasmo nei confronti di Israele, l’antisionismo e l’antisemitismo tra il 1967 e il 1991, ndt), sulla base di articoli di giornale e avvenimenti concreti, l’esperta illustra con una lingua sobria e precisa il risentimento antisemita negli ambienti di sinistra.
Ad esempio, in un commento pubblicato nel 1970 su un giornale di sinistra si parla del rapimento di Adolf Eichmann da parte di Israele come uno “schiaffo all’Argentina”. Il maggiore giornale di sinistra in Svizzera ha paragonato più volte la politica di Israele negli anni Ottanta a quella della “soluzione finale”, termine usato dal nazismo e che indicava la volontà di annientare il popolo ebreo in Europa.
Nel testo di Späti ci sono tanti esempi analoghi. Il commento sul rapimento di Eichmann suscitò ampie reazioni. E ciò non sorprende visto che l’antisemitismo nel testo aveva del grottesco. Altri avvenimenti, meno eclatanti, non suscitarono altrettanta indignazione. Secondo Späti, si nota una “continuità nell’indifferenza della sinistra rispetto all’antisemitismo”. Se la Germania ha promosso negli anni Novanta una riflessione, in Svizzera non è stato possibile sfatare un tabù, dice Späti a colloquio con swissinfo.ch.
Negli ultimi anni, Späti nota che negli ambienti della sinistra si sente un crescente bisogno di confrontarsi con l’antisemitismo. Un’attivista di sinistra contro l’antisemitismo ha illustrato a swissinfo.ch che negli anni Novanta quando si è cercato di affrontare l’argomento a Zurigo, alcuni uomini di sinistra l’hanno minacciata, dicendole che avrebbe rischiato di ricevere un “proiettile in un ginocchio”. All’inizio del 2000, un testo e una caricatura sulla piattaforma Indymedia hanno scatenato un dibattito interno e una denuncia penale. Tuttavia, la redazione di Indymedia Svizzera non ha cancellato i due post anche se li trovava antisemiti.
In questa dinamica della “psicodinamica dell’escalation” sono andate in frantumi amicizie, ha scritto in quegli anni il settimanale di sinistra Wochenzeitung. Questo citava un responsabile che sosteneva che non era possibile “lottare” contro il “razzismo con strumenti statali”, come la norma penale contro il razzismo. Un’opinione che a distanza di venti anni nessuno esprimerebbe più in questo modo. Grazie ai movimenti femministi e antirazzisti degli ultimi anni c’è una maggiore sensibilizzazione rispetto alla discriminazione.
Ciononostante, alcuni giovani ebrei di sinistra notano come alcuni modelli antisemiti tornano regolarmente in superfice nei loro ambienti. Anna Rosenwasser si definisce “per metà ebrea”. A questo proposito, la trentaduenne ricorda però che “l’antisemitismo non la riguarda solo per metà”. Nel suo profilo Instagram, seguito da 25mila persone, spiega gli oggetti delle votazioni popolari e si esprime su temi femministi e queer.
Rosenwasser dice che l’antisemitismo con cui è confrontata al di fuori della sinistra è più allarmante, ricordando che negli ambienti di sinistra ci si aspetta “una maggiore consapevolezza nei confronti dell’antisemitismo. Nella nostra società sono diffusi i modelli di pensiero. Conoscerli e considerarli con attenzione è un importante compito antifascista”.
Per Dina Wyler del GRA, molte persone sono convinti che gli individui di religione ebrea sono dei privilegiati e che non subiscono alcuna discriminazione. “Proprio chi è di sinistra crede che non vivano delle esperienza discriminatorie”.