Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Arianna Restelli
“Segre: il cuore della memoria”
«Mi dicono che quando vado a testimoniare nelle scuole sono fredda e distaccata come se parlassi di altre persone, di altre cose. È diverso davanti a un foglio bianco che aspetta e che solo la scrittura, segno convenzionale dell’uomo, riempirà, raccontando luoghi e persone, visi e colori e suoni e odori ecc. Tutto un mondo scomparso al quale io io io appartenevo, appartengo, apparterrò». Mette i brividi leggere direttamente dalla sua grafia, su carte sparse e block notes d’epoca, i pensieri della senatrice a vita Liliana Segre nel momento in cui inizia a parlare pubblicamente della Shoah e della sua esperienza di sopravvissuta. Appunti dei primi anni Novanta quando, dopo una profonda depressione, decide di diventare una testimone e di riconnettersi in qualche modo a quel «mondo scomparso». E così, mentre il ricordo si fa memoria, trasferisce sul «foglio bianco» gli orrori di Auschwitz, ma anche le riflessioni e gli stati d’animo che l’accompagnano in quel percorso doloroso. «Da che parte si comincia quando sono tante le cose e dentro la testa battono le ore, i fischi, i canti, le voci in una ridda pazzesca che poi si calma nello stupore angoscioso», annota. E ancora: «Siamo e dobbiamo essere vigili e attenti ma non deve mai morire la speranza». Oppure, mentre rivive il giorno della sua liberazione, si chiede: «L’incubo era finito ma che cosa sarebbe stato poi delle nostre menti e dei nostri cuori?».
Le carte relative alla testimonianza in centinaia di scuole, davanti a migliaia di studenti, insieme con le tantissime lettere ricevute da alunni e insegnanti, articoli di giornale, materiali didattici sono stati conservati per anni dalla senatrice. Che ora ha deciso di affidarli alla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec), proprio mentre quest’ultimo — il principale istituto di ricerca sulla storia degli ebrei in Italia — dà vita a Milano, con la Fondazione Memoriale della Shoah, a un nuovo polo che sarà inaugurato il 15 giugno e aperto al pubblico dal 20. Una struttura di oltre 750 metri quadrati, progettata dallo studio Morpurgo de Curtis, con una biblioteca, un’aula didattica e un’agorà. Sede: proprio il Memoriale, lo spazio per non dimenticare attivo dal 2013 attorno al binario da cui Liliana Segre e altre migliaia di ebrei e oppositori politici furono deportati dalla Stazione Centrale. Lì il Cdec ha trasferito e unificato sia il patrimonio librario sia l’archivio — inclusi i 53 faldoni del Fondo Segre, con materiali dal 1992 a oggi — aprendosi ancora di più alla cittadinanza. Il «Corriere», presente il vicedirettore Venanzio Postiglione, ha avuto la possibilità di vedere i nuovi spazi, alcune carte inedite della senatrice relative ai primi periodi della testimonianza e di parlarne con lei. «Intorno agli ottant’anni — racconta — pensai di buttare tutti quei materiali. Non volevo restassero ai miei figli, già coinvolti nei traumi di una mamma sopravvissuta. Però non l’ho fatto. E quando il Cdec mi ha chiesto se poteva occuparsene, ho detto di sì». Sono documenti «che fin dall’inizio custodii religiosamente — prosegue — perché erano lo specchio di una profonda scelta di vita fatta a sessant’anni. Dopo essere stata malissimo per quello che allora veniva definito “esaurimento nervoso”, sentii che dovevo compiere il mio dovere. È stato come un mare che mi ha travolto, una spinta inarrestabile a rompere il silenzio». Così una delle prime note è intitolata «giornata tipo – da non dimenticare», relativa alla quotidianità terribile di Auschwitz: «bastonate», «promiscuità anche al gabinetto – mai solitudine», «zuppa schifosa, no cucchiaio, sorsate – episodio del topo». Quello cioè, ricostruisce Liliana Segre, «di quando nella brodaglia finì un ratto, ma io comunque non la rifiutai. Ne presi un mestolo, e una compagna vicina commentò: “Era quasi meglio col topo”, tanta era la fame». Diversi tra le carte i riferimenti a Primo Levi. La senatrice ha spiegato in passato come anche grazie allo scrittore superstite di Auschwitz avesse «trovato le parole» per dire l’indicibile. Nei faldoni ci sono alcuni versi della poesia posta in epigrafe a Se questo è un uomo, trascritti a tutta pagina: «Considerate se questa è una donna,/ senza capelli e senza nome/ senza più forza di ricordare/ vuoti gli occhi e freddo il grembo/ come una rana d’inverno». Oppure singoli pensieri: «disumanizzazione: Primo Levi non l’ha sopportato 40 anni dopo». Anche lei, spiega Liliana Segre, è «tra chi crede si sia tolto la vita. Dopo ciò che avevamo attraversato, ci vollero spinte contrarie molto forti per non cedere a quella tentazione». Eccola, allora, la domanda: «Che cosa sarebbe stato poi delle nostre menti e dei nostri cuori?». «Ogni sopravvissuto — risponde oggi la senatrice — ha reagito in modo diverso. Quando siamo tornati c’era un abisso tra noi e chi non aveva avuto la nostra esperienza. È qui il significato di quel titolo di Primo Levi, La tregua: la necessità di uno spazio temporale e geografico in cui a piccoli passi riabituarsi alla normalità». Racconta un dettaglio, simbolico di molto altro: «Per un anno avevo trascorso le notti su una tavolaccia, con le dita nelle orecchie per non sentire quanto mi circondava. Tornata, anche se avevo un letto, per un po’ dormii per terra». Da quanto vissuto, la salvò gettarsi a capofitto nello studio e poi l’amore del marito Alfredo: «Lo conobbi a diciotto anni, non mi ha mai lasciata sola». La senatrice è stata tra i fondatori del Memoriale della Shoah. Lì, in quel luogo sotto il livello dei binari destinati ai passeggeri, ha voluto la grande scritta «Indifferenza». E ora è soddisfatta dei nuovi spazi: «In un posto di deportazione, arrivano i libri. E chi esce da una biblioteca generalmente resiste all’indifferenza». Il patrimonio del Cdec conta 31 mila monografie, 700 tesi di laurea e 2 mila testate di periodici; l’archivio raccoglie la maggior parte delle testimonianze degli ebrei italiani sulla Shoah e altri documenti sulla loro storia dalla metà dell’Ottocento a oggi. Il materiale di Liliana Segre, riordinato dagli archivisti Francesco Lisanti e Rori Mancino, diventerà oggetto di studio.
«Sarà utile — osserva Laura Brazzo, responsabile dell’archivio — a ricostruire l’evoluzione della memoria dagli anni Novanta a oggi. Ricerca che si arricchirà di altri documenti acquisiti di recente, come quelli di Goti Bauer, anche lei superstite di Auschwitz». Molto più di un cerchio che si chiude. «Goti — dice Liliana Segre — è un’amica straordinaria. Fu lei a incoraggiarmi a diventare una testimone». Alla senatrice sta a cuore che il Memoriale sia il più possibile conosciuto, specie tra i giovani: «Per questo ho invitato Chiara Ferragni». Intanto, dopo la pausa per il Covid, sono riprese le visite delle scuole e si è riattivato il rapporto che da anni il Memoriale cura con gli istituti, mantenendo i contatti con quelli già venuti e cercando di coinvolgerne di nuovi. «I nostri uffici — dice il direttore del Cdec Gadi Luzzatto Voghera — sono già stati spostati e si vede subito quanto il Memoriale sia abitato dai giovani, sia studenti sia ragazzi del servizio civile. Ora libri e documenti si uniscono all’esperienza di questo luogo, il che aiuterà ancora di più la memoria a guardare al passato ma pure al futuro». «È una sinergia importante: svilupperemo programmi e iniziative comuni», aggiunge il presidente del Memoriale Roberto Jarach. Il contenuto delle Sale delle testimonianze, parte integrante della visita, sarà rinnovato. Le Fondazioni hanno lavorato a una videointervista di Corrado Augias a Edith Bruck e a un filmato del regista Ruggero Gabbai con immagini di Liliana Segre di oggi e di trent’anni fa, quando tornò per la prima volta nel luogo della deportazione. Sarà inoltre disponibile il video del dialogo tra la senatrice e la ministra Marta Cartabia realizzato da «la Lettura». «In questi anni — conclude Marco Vigevani, presidente del Comitato Eventi del Memoriale — siamo stati fedeli all’idea di preservare la memoria della Shoah e insieme di aprirci ai temi del presente, come razzismo, migrazione, carceri. Vogliamo continuare, e la presenza del Cdec ci darà un supporto scientifico ancora più forte».