Fonte:
La Repubblica
Autore:
Giuliano Foschini
“Quel filo che lega partiti e opinionisti al network della propaganda russa”
Nel corso di un talk show, qualche giorno fa, uno dei tanti opinionisti russi chiamati a fare da controcanto ai dibattiti sull’invasione dell’Ucraina rispose candidamente a una domanda ingenua del suo intervistatore: «Ma come mai le polemiche sulle vostre parole ci sono soltanto in Italia? ». «Perché negli altri paesi non ci invitano». Ecco, per capire il perché l’Italia è diventato un caso in Europa, perché siamo considerati la migliore “riserva russa” del continente, è utile tenere a mente questo scambio di battute. E leggere gli allarmi che da mesi i nostri servizi di sicurezze e gli analisti internazionali lanciano sul nostro Paese. Il punto di partenza, evidentemente, è economico: la dipendenza dal gas, alcune scelte strategiche delle partecipate del passato (su tutte l’Eni ai tempi di Paolo Scaroni), altre decisioni più recenti (Enel, che è in società con il fondo sovrano, che incontra Putin a fine gennaio insieme con altre aziende italiane) hanno tessuto il filo tra i due paesi. Ma a tenerlo ben stretto, quel filo, è «il bombardamento delle menti e degli spiriti», per usare le parole di Josep Borrell, Alto rappresentante per le politiche di sicurezza dell’Unione europea. E cioè le tecniche di disinformazione che in Italia hanno trovato terreno molto fertile. Gli scenari sono due. Il web, coi social network. E i media tradizionali.
Sul web è stato dimostrato come l’inizio del conflitto in Ucraina è coinciso con l’aumento esponenziale di utenti iscritti a Twitter (38mila il giorno dei primi bombardamenti sull’Ucraina) e a Facebook. Sono per lo più “bot”, profili fittizi gestiti da computer che hanno il solo scopo di veicolare un certo tipo di notizie. Sono questo tipo di profili che servono ad alimentare le cosiddette “camere dell’eco”, pagine e canali telegram, dove ogni complottismo e scetticismo trova terreno fertile grazie a notizie artatamente falsificate e messe in circolo. Per esempio: Zelenskyche parla davanti a un tavolo pieno di cocaina. I soldati ucraini che usano come scudi umani i civili. La strage di Bucha raccontata come una bufala («Avete visto le immagini del New York Times?» chiedeva ieri un’utente. «Perché credi ancora alNyt?» gli rispondeva un altro), o l’ospedale bombardato a Mariupol. In Italia i canali che diffondono questo tipo di notizie in maniera organizzata sono centinaia. Molti erano vecchie pagine No Vax o No Pass ormai riconvertite.
Cinque sono le pagine Facebook, tre i canali Telegram che sembrano più organizzati. Insieme fanno quasi un milione di utenti che quotidianamente vengono raggiunti da notizie di questo tipo. Ma chi li gestisce? Al momento è possibile dire che una pagina è la stessa che raccoglie fondi per sostenere i carcerati neofascisti Giuliano Castellino e Roberto Fiore. In un’altra sono attivi vecchi esponenti dei 5S, ora fuoriusciti. Così come è stato provato che negli scorsi anni a San Pietroburgo, nelle cosiddette fabbriche di bot che avevano tra le altre cose inquinato il voto americano, lavorassero italiani. Paradossalmente più lineare è quello che sta accadendo nelle nostre tv. Dove opinionisti che lavorano per il Cremlino vengono chiamati a offrire il proprio punto di vista. Nadana Fridrikhson, giornalista della tv Zvezda, Petr Fedorov, capo di Rtr, canale riconducibile alla televisione di stato russa. E Julia Vitazyeva, giornalista di NewsFront. Lavorano tutti per media direttamente o indirettamente (per il tramite dei loro direttori) sotto sanzione in Europa proprio perché accusati di essere propaganda, e dunque strumento di guerra ibrida, del Cremlino. Hanno trovato spazio, anche sulla televisione pubblica, le immagini girate da Vyacheslav Amelyutin, operatore di Zvezda, che, insieme con il collega Konstilantin Khudoleev, faceva parte spedizione “Dalla Russia con amore”. Ma i due secondo i nostri servizi non erano giornalisti. Ma spie. Infine, la data simbolo: il primo maggio, quando su due reti italiane (Rete 4 e La 7) furono trasmesse le interviste al ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e al giornalista, megafono di Putin, Vladimir Solovyev. Entrambi sotto sanzione, erano in contemporanea sulle reti italiane. Come se fosse Mosca.