Fonte:
Il Riformista
Autore:
Guido Neppi Modona
Gratteri deve lasciare Parola di giurista
La prefazione di Gratteri? Una adesione alle tesi complottiste
Il dottor Gratteri ha perso il prestigio di cui un magistrato specie se posto a capo di un importante ufficio deve godere nei confronti della popolazione e dei suoi colleghi. Pertanto a norma dell’ordinamento giudiziario deve essere trasferito senza alcun incarico direttivo
Ne La strage di Stato di cui Gratteri firma la prefazione si leggono frasi di questo tenore: «Vogliamo dire chi comanda nel mondo? Comandano gli ebrei! Sta tutto in mano a loro! Tutte le lobby economiche e le lobby farmaceutiche…»; gli ebrei sarebbero inoltre responsabili di una non meglio precisata «strategia globale del terrore», e via dicendo. Il tutto basato su una sorta di inchiesta che mira a negare la gravità e la diffusione della pandemia da corona-virus e il numero delle vittime. Vi sarebbero cioè governi, medici, scienziati che, sfruttando l’imbroglio” del Covid, si propongono di attuare una “strage di stato”. A fronte di questi demenziali stereotipi antisemiti e dell’irreale impianto negazionista, il dottor Gratteri scrive nella sua prefazione che il libro «ricostruisce la successione degli eventi, la fonte dei provvedimenti, le correlazioni talvolta insospettabili tra fatti e antefatti, sollevando angosciosi interrogativi – degni di approfondimento nelle sedi competenti – sulla gestione dell’emergenza pandemica». Si tratta di una adesione senza riserve all’ipotesi complottistica della strage di stato, per di più proveniente da un soggetto che, per la carica istituzionale ricoperta, ha il potere di esercitare l’azione penale, potere espressamente adombrato in quell’inquietante inciso in cui il dr. Gratteri parla di angosciosi interrogativi «degni di approfondimento nelle sedi competenti». Vi è quanto basta per concludere che il dr. Gratteri ha perso il prestigio di cui un magistrato – specie se posto a capo di un importante ufficio quale è la Procura della Repubblica – deve godere nei confronti della popolazione e dei suoi colleghi, e pertanto a norma dell’ordinamento giudiziario deve quantomeno essere trasferito in un’altra sede e con funzioni che non comportino alcun incarico direttivo. Ho l’impressione che l’infortunio – se così possiamo chiamarlo – in cui è inciampato il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri firmando la prefazione di un libello di impianto palesemente antisemita, sia stato sottovalutato. Questo quotidiano ha riservato ieri ampio spazio alla vicenda, e il caso vuole che lo stesso giorno La Stampa di Torino abbia dedicato una pagina intera alle aspirazioni di carriera del Procuratore di Catanzaro, che punterebbe a dirigere la Procura della Repubblica di Milano e in un momento successivo la Direzione Nazionale Antimafia. La Stampa non riserva alcun cenno alla prefazione del libello antisemita intitolato La strage di Stato. Eppure quel libello sembra riportarci alle più odiose e abbiette invenzioni della campagna razzista contro gli ebrei del 1938, allora si parlava di congiura “demo-pluto-giudaica-massonica” che si proponeva di dominare il mondo e più tardi, con l’avvento nel 1943 della Repubblica sociale italiana, di complotto dell’internazionale ebraica, responsabile del crollo del regime fascista e della sconfitta dell’Italia in guerra. Ne La strage di Stato si leggono frasi di questo tenore: «Vogliamo dire chi comanda nel mondo? Comandano gli ebrei! Sta tutto in mano a loro! Tutte le lobby economiche e le lobby farmaceutiche…»; gli ebrei sarebbero inoltre responsabili di una non meglio precisata «strategia globale del terrore», e via dicendo. Il tutto basato su una sorta di inchiesta che mira a negare la gravità e la diffusione della pandemia da corona-virus e il numero delle vittime. Vi sarebbero cioè governi, medici, scienziati che, sfruttando l’imbroglio” del Covid, si propongono di attuare una “strage di stato”. A fronte di questi demenziali stereotipi antisemiti e dell’irreale impianto negazionista, il dottor Gratteri scrive nella sua prefazione che il libro «ricostruisce la successione degli eventi, la fonte dei provvedimenti, le correlazioni talvolta insospettabili tra fatti e antefatti, sollevando angosciosi interrogativi – degni di approfondimento nelle sedi competenti – sulla gestione dell’emergenza pandemica». Si tratta di una adesione senza riserve all’ipotesi complottistica della strage di stato, per di più proveniente da un soggetto che, per la carica istituzionale ricoperta, ha il potere di esercitare l’azione penale, potere espressamente adombrato in quell’inquietante inciso in cui il dr. Gratteri parla di angosciosi interrogativi «degni di approfondimento nelle sedi competenti». Vi è quanto basta per concludere che il dr. Gratteri ha perso il prestigio di cui un magistrato – specie se posto a capo di un importante ufficio quale è la Procura della Repubblica – deve godere nei confronti della popolazione e dei suoi colleghi, e pertanto a norma dell’ordinamento giudiziario deve quantomeno essere trasferito in un’altra sede e con funzioni che non comportino alcun incarico direttivo. In diversi contesti si sono purtroppo verificati nelle ultime settimane altri episodi di antisemitismo di cui sono stati protagonisti soggetti che ricoprono cariche pubbliche. Il 27 gennaio di quest’anno, Giorno della Memoria, sul sito istituzionale di San Francesco al Campo, piccolo comune della provincia di Torino, il sindaco ha scritto che la persecuzione e la morte di sei milioni di ebrei sono fatti riportati dalle «tesi storiche tradizionaliste dominanti», dando spazio alle posizioni revisioniste secondo cui le morti sono state «sovrastimate» e causate dalle «condizioni igieniche» dei campi. Pochi giorni dopo una consigliera comunale di Torino del Movimento 5 Stelle ha inserito nella sua bacheca Facebook un post polemico nei confronti del gruppo editoriale Gedi (cui appartengono tra altri i quotidiani La Stampa e La Repubblica) in cui figurano atroci vignette antisemite (l’ebreo rappresentato con naso pronunciato, sorriso malvagio, coltello impugnato dietro la schiena), commentate dalla medesima consigliera come «interessante». Attualmente la consigliera, unanimemente censurata da tutte le forze politiche, è indagata per il reato di istigazione all’odio razziale. Vi è da chiedersi – ma purtroppo la domanda rimane senza risposta – cosa mai abbia indotto il sindaco e la consigliera comunale a occuparsi così maldestramente di questi temi e se si sono resi conto della portata delle loro esternazioni. In sé e per sé si tratta di episodi di non grande rilievo, che sollecitano però alcune riflessioni. Nel 1938 l’antisemitismo era razzismo di stato, sapientemente preparato passo per passo dall’inizio dell’anno sino alla promulgazione il 17 novembre del regio decreto legge sulla tutela della razza ariana (o italiana). Il regime fascista aveva evidentemente bisogno di un potenziale capro espiatorio, che era appunto stato individuato con quel decreto nei circa 40.000 ebrei presenti in Italia. Ora, nella nostra repubblica democratica, vi sono leggi che puniscono severamente la propaganda e l’istigazione all’odio razziale. Ma il problema non si risolve solo con il ricorso alla repressione penale. Gli episodi sopra menzionati si riferiscono a giovani che presumibilmente nel loro curriculum scolastico non hanno acquisito conoscenze sul passato razziale del regime fascista. È dalla scuola quindi che bisogna ripartire per estirpare questa lebbra dell’antisemitismo, che purtroppo continua a serpeggiare in pieghe profonde e non facilmente individuabili e raggiungibili della società italiana.
Giurista insigne e giudice della Corte costituzionale
Nato a Torino il 14 novembre 1938, magistrato dal 1964 al 1975, sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale, pretore e giudice penale presso il Tribunale, professore di diritto e procedura penale presso le Università di Cagliari, di Torino di Catania, il professor Guido Neppi Modona è stato giudice della Corte costituzionale e poi vice presidente sino al 6 novembre 2005. Ha esercitato la professione di avvocato presso il Foro di Torino dal 1976 dal 1993, e dal 1974 ha fatto parte delle Commissioni istituite presso il Ministero della Giustizia perla redazione e, poi, per la revisione del nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore ne] 1989. Dal 1976 al 1996 ha collaborato come editorialista al quotidiano La Repubblica e al settimanale II Mondo. Dal 1963 collabora a numerose riviste giuridiche, tra cui Rivista italiana di diritto e procedura penale, Cassazione penale e Questione Giustizia, nonché a riviste di storia contemporanea: dopo la parentesi della Corte costituzionale ha collaborato come editorialista al Sole 24 Ore. Al suo attivo anche una copiosa produzione scientifica che spazia da tematiche tecnico-giuridiche di diritto penale e processuale a ricerche storico-istituzionali sui rapporti tra magistratura e potere politico nello stato liberale, durante il regime fascista. Con questo articolo, comincia la sua collaborazione con il Riformista.