17 Maggio 2020

David Bidussa, La misura del potere. Pio XII e i totalitarismi tra il 1932 e il 1948, Solferino, Milano, 2020

Fonte:

IlSole24Ore

Autore:

Angelo Varni

Pio XII e l’identità dell’Europa

Tra comunismo e nazismo. David Bidussa ricostruisce, attraverso documenti anche inediti, come Pacelli si misurò con i totalitarismi, riproponendo un’idea «cristiana» del continente

In un’atmosfera di attesa feconda la comunità degli storici – e non solo – si era preparata all’apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano, prevista per lo scorso 2 marzo, contenente l’enorme mole di materiale documentario riguardante il pontificato di Pio XII negli anni drammatici e cruciali tra il 1939 e il 1938, quelli del tragico abisso della guerra e della successiva ricostruzione di un quadro internazionale modificatosi negli assetti internazionali, sociali, culturali ed economici. Già il 9 successivo, però, l’imprevista tempesta provocata dal diffondersi del coronavirus ha indotto a richiudere ogni possibilità di consultazione, spegnendo sul nascere la diffusa speranza di chiarire in modo definitivo la lunga, e forse sterile, contrapposizione tra i sostenitori di una sorta di “leggenda nera” che bollava Papa Pacelli come “alleato di Hitler” e quanti parlavano di una contraria “leggenda rosa”, mettendo in evidenza l’aiuto dato dalla Chiesa agli ebrei durante la persecuzione nazista. Più argomento, questo, di superficiale polemica tra fazioni, di massima già pregiudizialmente disposte sull’uno o sull’altro fronte, che solida valutazione interpretativa delle tante motivazioni operanti nella scelta effettuata da un’istituzione in costante equilibrio tra testimonianza di fede, collocazione politica-diplomatica, “governo” della comunità universale dei fedeli. Anche perché – ed in questo David Bidussa nel suo nuovo libro è molto chiaro nel suo rifarsi ai dettami della migliore metodologia storiografica -, nessun documento di per sé, pur se accertata la sua autenticità, può garantire la verità di un evento accaduto nella storia; ma solo può offrire un utile indizio all’interpretazione di chi avrà la capacità di inserirlo nella molteplicità di variabili convergenti verso la comprensione di un accadimento, nella speranza di avvicinarsi in tal modo il più possibile alla verità mai acquisibile una volta per tutte. L’illusione degli storici positivisti dell”800 che l’attendibilità di un documento garantisse l’indiscutibile obiettività della loro ricostruzione è da molto tempo caduta a fronte dell’insuperabile soggettività della presentazione e dell’analisi della documentazione reperita che al più – come avverte l’autore – «tenta di approssimarsi al vero», potendosi «avvicinare verso l’ultima parola, o, diversamente, non allontanarsi dall’ultima. Al massimo, darsi come obbiettivo di dire la penultima». Ecco, allora, che in questo lavoro, attraverso un’ampia e minuziosa analisi del materiale bibliografico ed archivistico anche inedito, Bidussa getta lo sguardo ben oltre il problema del rapporto di Pio XII e della Chiesa romana con l’ebraismo, inserendolo correttamente nella complessiva valutazione dell’esigenza di misurarsi con le forme del potere totalitario diffusesi dopo la Prima guerra mondiale. Chiarendo, in tal modo, il tentativo del Vaticano di riproporre la propria visione identitaria di un’Europa “cristiana”, minacciata da una diffusa perdita della fede tradizionale; non meno che dal confronto con regimi decisi a sostituirsi in maniera appunto “totale” al ruolo formativo delle coscienze proprio della cattedra di Pietro. Con sullo sfondo il tema, o per meglio dire, il sentimento, magari sottaciuto eppure persistente in tante comunità nazionali dell’antigiudaismo, di cui tenere conto nelle proposte di riassetto geo-politico del continente. Appare, quindi, indispensabile percorrere passo dopo passo le scelte diplomatiche non meno che culturali adottate lungo gli anni Trenta, almeno a far data dall’enciclica promulgata da Pio XI nel ’32, dove, accanto alla ripresa della questione sociale aggravata dalla crisi economica, si ribadiva fermamente la condanna dell’ateismo militante individuato nel comunismo dell’Urss, mentre la fisionomia dell’Europa poteva essere garantita dai percorsi concordatari realizzati od avviati coi diversi Stati, pure con quelli più autoritari. Linee che a vario titolo erano destinate a marcare le scelte della Chiesa anche nel drammatico confronto con i successivi eventi bellici ed il genocidio della Shoah, provocando incertezze, ambiguità, modifiche pure. Per ritrovarsi a definire il quadro di riferimento di un dopoguerra, dove si riproponeva in modo assai più esplicito il rapporto con il mondo ebraico proiettato alla costruzione di un proprio Stato in Palestina, che il Pontefice nell’enciclica In Multiplicibus Curis dell’ottobre ’48, finiva per accettare chiedendo nel contempo l’internazionalizzazione di Gerusalemme ed il libero accesso ai tanti luoghi santi. Decisivo appare da subito, nel ’39, a Pio XII, il mantenimento della pace, in quanto – come scrisse in quell’anno Luigi Salvatorelli – «civiltà umana e spiritualità cristiana sono oggi più solidali che mai». Da qui la fondamentale distinzione tra la condanna dottrinale del nazismo (vero e proprio nuovo “paganesimo” con le sue teorie della razza e la deificazione dello Stato) e la sua valutazione politica, sulla quale – conferma Bidussa – «si mantiene il silenzio, o comunque una posizione di riserbo». Il silenzio, dunque, le parole di condanna non pronunciate di fronte alla progressiva presa d’atto dell’efferatezza nazista, nei Paesi occupati fin nella Roma del ’43-’44: questo il grande tema di un pontificato che preferì non esporsi pubblicamente con dichiarazioni magari giudicate, a torto, o a ragione, controproducenti per gli stessi.perseguitati e piuttosto agire nel concreto di un’azione di soccorso, che vedeva, del resto, impegnate tante strutture del mondo cattolico presenti sul territorio e non solo nel nome di un’umana solidarietà, bensì nell’adesione profonda ad una certezza di fede. E questo pur nel progressivo mutarsi, dagli ultimi mesi del ’41, dell’atteggiamento diplomatico nei confronti degli Usa, accettandone via via il loro legame bellico con l’Urss, nel nome del supremo pericolo rappresentato dalla disumanità della dittatura hitleriana, con la speranza che questo potesse prefigurare una garanzia di presenza della Chiesa nella costruzione dell’Europa del dopoguerra. Quando, cioè, sarebbe divenuto indispensabile ripensare in forme diverse alla nuova sfida dell’espandersi ad Est del potere sovietico, in un mondo profondamente mutato nel suo dilatarsi ben oltre il Vecchio Continente e sospinto dal vento di un dirompente capitalismo industriale e consumistico, che pretendeva nuovi codici di lettura sociali e culturali rispetto a quelli ereditati dalla tradizione del passato.

LA MISURA DEL POTERE. PIO XII E I TOTALITARISMI TRA IL 1932 E IL 1948 David Bidussa Solferino, Milano, € 17.