7 Aprile 2020

Intervento dell’autore teatrale Renzo Fracalossi dedicato al quadro antisemita di Simonino da Trento

Fonte:

Corriere del Trentino

Autore:

Renzo Fracalossi

L’odio antisemita dentro un quadro

Simonino e un falso plateale

Con uno stupore amaro assistiamo alle cronache dell’ennesima dimostrazione di odio antisemita, racchiuso in un’iconografia non nuova attorno alla vicenda emblematica del Simonino. Quasi a voler testimoniare in concreto la giustezza dell’intuizione che ha mosso la recente mostra al Museo Diocesano tridentino circa «d’invenzione del colpevole», uno sconosciuto pittore pugliese ha diffuso sui «social» l’immagine di un suo quadro che prova, in un trionfo di stereotipi antiebraici, a rinverdire quella macabra leggenda, sulla cui totale infondatezza si sono espressi, purtroppo sembra ancora invano, storici, scienziati e la Chiesa cattolica in più occasioni e circostanze, a partire dallo straordinario lavoro di ripristino della verità storica avviato dal P. Eckart e portato alle sue giuste conseguenze dall’indimenticabile monsignor Rogger, dalla professoressa Volli e dall’arcivescovo Gottardi. Davanti a tanta ostinazione nel voler ridare credibilità a un falso plateale, com’è quello della supposta tradizione ebraica degli omicidi rituali, ci si potrebbe limitare a una condanna morale, rubricando anche quest’evento come una delle tante fasi, purtroppo, della ripresa dell’antisemitismo nel nostro Paese. Ma, a ben vedere, balzano all’occhio un’inquietante serie di coincidenze che disvelano fini ben più reconditi e pericolosi dietro a quest’episodio. Infatti, colpisce anzitutto la temporalità. Siamo a pochi giorni dalla Pasqua cristiana, rappresentata simbologicamente dalla purezza dell’Agnello e dalla quasi coincidente festa ebraica di Pesach, che ricorda la salvezza degli ebrei dall’Egitto quand’essi segnarono gli stipiti delle loro porte con il sangue affinché la collera di D-o passasse oltre. Non può quindi sfuggire il legame appunto fra l’Agnello, puro e indifeso come i bambini e l’uso del sangue per segnare le porte delle famiglie ebree, sangue che marca così una loro differenza dal resto del mondo. Da qui all’accusa di infanticidio rituale il passo è quindi breve, soprattutto per i coltivatori di ignoranza e di intolleranza come nel caso di questo incredibile dipinto. In secondo luogo, non va trascurata la contemporaneità con il difficile momento che stiamo tutti attraversando e che, secondo una certa vulgata complottista, ben descritta anche dal gruppo di ebrei del quadro, non può non avere origine dentro un progetto di dominio del mondo, esattamente come descritto in un altro enorme falso storico qual è quello dei «Protocolli dei Savi Anziani di Sion». Ma non basta. Il quadro sembra, con il suo lapalissiano richiamo alla più becera letteratura «contra judeos», un invito alla riscoperta dei temi classici della retorica antisemita racchiusi dentro i volti e le espressioni dei protagonisti di una tela che mette in evidenza orride risate, nasi adunchi, esibizione blasfema di tutta l’oggettistica della ritualità ebraica, rappresentazione di una sorta di violenza orgiastica e via dicendo. II dipinto assume così i caratteri specifici di una rappresentazione viva dell’antisemitismo — e come tale andrebbe trattato — non solo del suo ignobile autore, ma anche di tutti coloro che si ritrovano negli insulti alla senatrice Liliana Segre; nell’irrisione di Anna Frank su magliette da calcio; negli anonimi imbrattamenti con svastiche e minacce che hanno colpito in alcune città d’Italia. Infine, su tutto quest’operazione aleggia il messaggio negazionista, cioè un insieme di affermazioni, qui dipinte anziché scritte, con le quali si contesta, o meglio si nega, la verità storica conclamata. Quel quadro ci dice infatti del rifiuto di considerare gli avvenimenti di quel lontano 1475 — e con essi anche tutti gli altri drammi fino alla Shoah — per come essi si volsero effettivamente e della volontà di offrire una «verità» parallela e capace di «individuare il colpevole», al di là di ogni razionalità e di ogni prova documentale, basandosi solamente sudi un incontenibile odio che appesta le nostre esistenze e che non smette mai di generare orribili esibizioni di sé. L’unico auspicio possibile, in prossimità della Pasqua e di fronte a simili sentimenti, è quello di un rapidissimo oblio del quadro, con tutto quello che esso rappresenta e del suo infelice autore, confidando che ciò preluda a un ben più rilevante superamento dell’antisemitismo ovunque e comunque.