Fonte:
Corriere Torino
Autore:
Floriana Rullo
«Qui abita un ebreo: Gesù», il cartello sulla parrocchia
L’iniziativa del prete di San Giacomo Apostolo a La Loggia in risposta alle scritte antisemite
«Juden Hier. Qui abita un ebreo, Gesù». Il cartello ieri è comparso sulla porta di legno d’ingresso della chiesa della parrocchia «San Giacomo» di La Loggia, nel Torinese. Ad appenderlo il parroco, Don Ruggero Marini, dopo i fatti di cronaca dei giorni scorsi avvenuti a Mondovì, dove in tedesco era stato scritto «Qui abita un ebreo» sulla casa del figlio di una ex deportata, Lidia Rolfi, e a Torino dove invece la scritta «Crepa sporca ebrea» è comparsa sull’abitazione di Maria Bigliani, figlia di una ex partigiana. Gesti che non sono piaciuti a Don Ruggero, sacerdote e da anni guida in Terra Santa. «L’Olocausto si affronta con troppa leggerezza – spiega il parroco —. Ci vuole memoria ogni giorno… perché il “mai più” non sia uno slogan ma un impegno». Per questo motivo ha deciso di rispondere alle offese. «Ne avevo affisso uno anche martedì. Ma qualcuno l’ha strappato — chiosa il sacerdote—. Non mi sono lasciato intimorire. L’ho rimesso. I giovani non conoscono la storia. Ora sono costretti a passare davanti al portone. Leggere il cartello. Farsi delle domande». La chiesa si trova infatti a metà strada tra la scuola elementare e la scuola media. «Le maestre mi hanno promesso affronteranno l’argomento in classe — spiega Don Ruggero —. Era quello che mi premeva di più: scuotere le coscienze. Sono stato allievo a Mondovì di Lidia Rolfi, scrittrice e partigiana deportata a Ravensbruck. Già 42 anni fa mi ha insegnato l’importanza della memoria. Da lei ho imparato anche il coraggio di affrontare ogni imprevisto». Non usa mezzi termini il sacerdote. Anche se si tratta di prendere una posizione. Lo aveva fatto nel 2016 quando, per opporsi ai festeggiamenti di Halloween, fece suonare le campane per tutta la notte. O ancora quando, l’anno dopo, aveva chiesto a una mamma di un politico di allontanarsi dall’attività parrocchiali per «recuperare serenità e pace». Anche questa volta ha scelto un modo forte per rispondere, spazzando via ogni equivoco. «L’antisemitismo, in tutte le sue forme, ha prodotto tragedie che dobbiamo condannare — conclude —. Dire che la chiesa è la casa di Gesù ebreo significa trasformare il dolore in un evento sacramentale. Volevo lanciare un segnale anche a quei leader politici che, parlando alle nuove generazioni, forniscono una lettura bieca della storia. I giovani hanno bisogno di conoscere. Perché solo la conoscenza rende liberi».
Photo Credits: Avvenire