Luogo:
Bologna
Fonte:
Corriere di Bologna
Quelle torte dal sapore nazista nella festa (privata) dei liceali
È successo il Giorno della memoria. In tre si sono rifiutati di mangiarle
Hannah Arendt scrisse della banalità del male. Oggi è la banatizzazione del male il nuovo strisciante pericolo che si sta insinuando nella nostra vita quotidiana. La prova può stare anche in una torta, se sopra capita di trovarci raffigurato Hitler al telefono, corredato da una frase oscena, non si può definire altrimenti: «Pronto cara? Accendi il forno che sto arrivando a casa». Succede nella civile Bologna. E se è così, è facile immaginare che stia succedendo (magari proprio ora, mentre leggete queste righe) in un’altra qualsiasi città d’Italia. Qui, nella nostra comunità, è accaduto a una festa di compleanno ospitata in un locale: non quella di un estremista, fascista, nazista, suprematista o razzista che dir si voglia. No: quella di un ragazzino qualsiasi che frequenta un noto liceo cittadino di cui scegliamo di non fare il nome per tutela dei minori coinvolti. Un ambiente in cui ci si aspetterebbe di trovare ancora qualche anticorpo funzionante contro stupidità e ignoranza. E contro quel «liberi tutti» (di pensiero, parola e azione, basti pensare ai vaccini) propagato e moltiplicato dai social. La torta (in effetti erano due, stesso agghiacciante soggetto per entrambe, nella seconda era scritto: «E vai che sarà una serata a tutto gas») è stata presentata a una intera classe di quindicenni. Come fosse normale spegnere le candeline su quei ritratti. Tra alcuni di loro, però, per fortuna è serpeggiato imbarazzo e incredulità. In tre si sono rifiutati di mangiarle, quelle torte. Forse troppo pochi, ma è già qualcosa: un barlume di speranza per le coscienze dei nostri figli. E almeno uno si è reso conto che non poteva essere davvero quella, la normalità. Anche perché, per un beffardo caso del destino (ma il dubbio sorge legittimo: è stato davvero un caso?)il giorno di quella festa era il 27 gennaio. Avete capito bene, il Giorno della memoria in cui tutto il mondo si ferma per ricordare e riflettere sulla Shoah e gli orrori dei campi di concentramento nazisti. Così, alcuni ragazzini hanno deciso di confidarsi con i genitori. A quel punto la storia ha cominciato a circolare, arrivando anche su Internet dove una docente della Sapienza e autrice teatrale ha raccontato la vicenda, dandone poi conto anche sul sito della «Ricerca», rivista della Loescher: «Io ho buttato la cosa su Facebook, senza dire né dove né chi, e le reazioni sono state le più disparate, soprattutto preoccupate, e invocano l’intervento delle famiglie, della scuola, delle forze dell’ordine. Soltanto una professoressa, che insegna alle medie, ha sollevato il problema di cosa ne pensano i ragazzi stessi che hanno avuto parte, come attori o come semplici comparse, in questa storia», scrive Vanessa Roghi. I ragazzi, dunque: alla fine se n’è parlato anche in classe (ma non con i docenti, a quanto ne sappiamo) e c’è chi ha presentato le proprie rimostranze ai genitori del festeggiato. Trovando però dall’altro capo del telefono giustificazioni a dir poco sconsolanti: «Voleva solo essere uno scherzo, per sdrammatizzare, son cose da ragazzi». Un po’ lo stesso tenore di spiegazioni avanzate dal gruppo di appassionati di rievocazioni storiche che, sempre il 27 gennaio scorso, vicino a Marzabotto si facevano i selfie sfoggiando perfette divise da Ss. Uno di loro, interpellato dal Corriere di Bologna, rispose così sull’opportunità di quella carnevalata macabra: «Ci piacciono le divise, che male c’è. Marzabotto? Non possiamo mica sapere che cosa è accaduto dappertutto». Nessuna conseguenza per loro perché non c’è il reato di stupidità o ignoranza. Reato al contrario riscontrato da un giudice in un altro caso recente di cronaca: quello di Selene Ticchi, militante di Forza Nuova che il giorno della marcia di Predappio sfilò con la maglietta «Auschwitzland» e che è stata condannata dal Tribunale di Forlì a quattro mesi di reclusione, commutati in 9mila euro di multa. Anche lei, per giustificarsi, parlò di «humor». Ma per le nostre torte naziste e antisemite, se di certo non ci saranno conseguenza legali, l’augurio è che si apra almeno una riflessione corale. Non si trattava di una occasione pubblica, i festeggiamenti non erano in una scuola, un comune o un ufficio. Era solo una banale festa privata, dentro una paninoteca. Del resto, basta farsi un giro su Instagram per trovare decine di hashtag che fanno rimbalzare «meme» di Hitler e non solo, rendendo difficile distinguere tra finzione e realtà, soprattutto agli occhi di ragazzini spesso troppo poco pratici di storia. Le immagini utilizzate sulle torte, proprio dalla Rete sono state prese. Ma le famiglie? E il pasticcere che quelle torte si è sentito ordinare e ha realizzato, senza batter ciglio? Oppure è diventato davvero tutto normale, uguale. Banale?
Claudia Baccarani