Fonte:
Moked.it
Autore:
Sergio Mattarella
L’intervento del Capo dello Stato
Rivolgo un saluto al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio, ai Vicepresidenti, alla Vicepresidente del Senato, a tutte le autorità e tutti i presenti, particolarmente ai ragazzi e ai bambini delle scuole.
Sono passati settantaquattro anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Eppure, nonostante il tanto tempo trascorso, l’orrore indicibile che si spalancò davanti agli occhi dei testimoni è tuttora presente davanti a noi, con il suo terribile impatto. Ci interroga e ci sgomenta ancora oggi.
Perché Auschwitz non è soltanto lo sbocco inesorabile di un’ideologia folle e criminale e di un sistema di governo a essa ispirato.
Auschwitz, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto.
Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni.
Una società senza diversi: ecco, in sintesi estrema, il mito fondante e l’obiettivo perseguito dai nazisti. Diversi, innanzitutto, gli ebrei. Colpevoli e condannati come popolo, come gruppo, come “razza” a parte.
Gli ebrei. Portatori di una cultura antichissima, base della civiltà europea, vittime da sempre di pregiudizi e di discriminazioni, agli occhi dei nazisti diventano il problema, il nemico numero uno, l’ostacolo principale da rimuovere, con la violenza, per realizzare una società perfetta, a misura della loro farneticazione.
Ma quando il benessere dei popoli o gli interessi delle maggioranze, si fanno coincidere con la negazione del diverso – dimenticando che ciascuna persona è diversa da ogni altra – la storia spalanca le porte alle più immani tragedie.
Gli ebrei erano bollati con il marchio, infamante, della diversità razziale. Dipinti con tratti grotteschi, con una tale distorsione della realtà da sfociare nel ridicolo, se non si fosse tradotta in tragedia.
La furia nazista si accanì con micidiale e sistematica efficienza anche contro altre categorie di “diversi”: i dissidenti, gli oppositori, i disabili, i malati di mente, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i rom e i sinti, gli slavi.
Nell’ordine nuovo, vagheggiato da Hitler, non c’era posto per la diversità, la tolleranza, l’accettazione, il dialogo. La macchina della propaganda, becera quanto efficace, si era messa in moto a tutti i livelli per fabbricare minacce improbabili e nemici inesistenti.
Dove la propaganda non bastava, arrivavano il terrore e la violenza.
La ragionevolezza e l’intelligenza umana furono oscurate, fino al punto di non ritorno, dalla nebbia fitta dell’ideologia e dell’odio razziale.
Per gettare il marchio di infamia sugli ebrei furono utilizzati tutti i mezzi di indottrinamento allora a disposizione: giornali, radio, cinema, manifesti, libri per bambini, trattati pseudo scientifici, vignette.
Per sterminarli si fece ricorso agli strumenti tecnici più avanzati e alle più aggiornate teorie d’organizzazione burocratica e industriale. L’eliminazione del “diverso”, del sub-umano, come prodotto finale delle fabbriche della morte.
Come ha acutamente notato Bauman, con un paradosso apparente, la modernità tecnologica e scientifica del tempo era piegata spregiudicatamente al servizio di una ideologia antimoderna, barbara e regressiva.
Le persecuzioni naziste si iscrivevano in un progetto di società basato sul predominio dei popoli cosiddetti forti e puri sui popoli deboli, su un nazionalismo esasperato nemico della convivenza, sulla guerra come fonte di rigenerazione e di grandezza, su un imperialismo alimentato da delirio di onnipotenza, sulla sottomissione dell’individuo allo Stato, sulla negazione della libertà di coscienza, sulla repressione feroce di ogni forma di dissenso.
Tutto quel che la nostra Costituzione ha voluto consapevolmente bandire e contrastare – segnando un discrimine tra l’umanità e la barbarie – con il riconoscimento di eguali diritti e dignità ad ogni persona e con l’obiettivo e il metodo della cooperazione internazionale per una convivenza pacifica tra i popoli e gli Stati.
Ho trovato di grande interesse il tema scelto quest’anno per il Giorno della Memoria, scandagliando in profondità la terribile condizione femminile all’interno dei campi di sterminio. Di quelle donne umiliate e violate, nel fisico e nell’animo, di quelle madri, che con l’ultima forza residua, hanno abbracciato e rincuorato fino all’ultimo istante i loro piccoli, nel buio tremendo delle camere a gas.
Ringrazio Francesca Fialdini – che ha condotto così bene questo incontro – , il Ministro Bussetti, la presidente Di Segni, la professoressa Santerini, per i loro efficaci interventi. Edith Bruck per la sua lucida, coraggiosa – e terribile – testimonianza, di cui dobbiamo serbare memoria, nel cuore e nella mente. Ringrazio Isabella Ragonese, Federica Fracassi, Cristina Zavalloni e il Maestro Francesco Lotoro, perché anche l’arte, insieme alla storia, alla sociologia, alla filosofia, alla psicologia, è un modo per avvicinarsi a quell’inestricabile groviglio di eventi, sofferenze, paure, atrocità che fu la Shoah.
Ringrazio le studentesse, Federica e Giulia, per la loro testimonianza.
Rivolgo un saluto particolare, con affetto, ai sopravvissuti che, oggi, hanno voluto essere qui tra noi: Peppino Gagliardi, Sami Modiano, Selma Modiano, Gilberto Salmoni e Piero Terracina.
Una sola considerazione sul tema delle donne nella Shoah: le ideologie totalitarie hanno sempre considerato le donne come esseri inferiori. E così come la donna ariana, nella follia nazista, era ridotta a mero strumento per la riproduzione di nuovi ariani, la donna ebrea portava la colpa ulteriore di aver generato la progenie di una razza ritenuta diversa.
Anche per questo va sempre ricordato che non può esistere democrazia e libertà autentica nei Paesi in cui, ancora, si continua a negare pienezza dei diritti e pari opportunità per ogni donna.
Il Giorno della Memoria non è soltanto una ricorrenza, in cui si medita sopra una delle più grandi tragedie della storia, ma è un invito, costante e stringente, all’impegno e alla vigilanza.
In Italia e nel mondo sono in aumento gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. Si tratta, è vero, di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente negli stadi, nelle scuole, nelle situazioni di disagio.
La riproposizione di simboli, di linguaggi, di riferimenti pseudo culturali, di vecchi e screditati falsi documenti, basati su ridicole teorie cospirazioniste, sono tutti segni di un passato che non deve in alcuna forma tornare e richiedono la nostra più ferma e decisa reazione.
Noi Italiani, che abbiamo vissuto l’onta incancellabile delle leggi razziali fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei, abbiamo un dovere morale. Verso la storia e verso l’umanità intera. Il dovere di ricordare, innanzitutto, Ma, soprattutto di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la senatrice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra i peggiori.
Auschwitz, il più grande e più letale dei campi di sterminio – con le sue grida, il suo sangue, il suo fumo acre, i suoi pianti e la sua disperazione, la brutalità dei carnefici – è stato spesso, e comprensibilmente, definito come l’inferno sulla terra. Ma fu, di questo inferno, solo l’ultimo girone, il più brutale e perverso.
Un sistema infernale che ha potuto distruggere milioni di vite umane innocenti nel cuore della civiltà europea, soltanto perché, accanto al nefando pilastro dell’odio, era cresciuto quello dell’indifferenza.