Fonte:
La Stampa
Autore:
Andrea Carugati, Noemi Di Segni
Via le pensioni agli ebrei vittime delle leggi razziali e ai perseguitati dal fascismo per motivi politici – Offese le vittime delle persecuzioni fasciste
Il decreto fiscale spazza via il sostegno dello Stato per perseguitati politici e razziali, oltre che per i pensionati di guerra. Un taglio da 50 milioni al Fondo istituito al ministero dell’Economia, con effetto immediato.
E così, a ottant’anni esatti dalle leggi razziali, la maggioranza giallo-verde taglia gli assegni previsti fin dal 1955 per chi aveva subito la persecuzione fascista perché di religione ebraica o per le idee politiche. Assegni di modesta entità, circa 500 euro al mese, destinati a persone nate prima del 1945, dunque sopra i 70 anni. Si tratta di alcune migliaia di cittadini, che rischiano di non vedere già gli assegni di novembre e dicembre. Persone che hanno avuto diritto a questo vitalizio come «gesto riparatore» per aver perso il lavoro o il diritto di andare a scuola dopo il 1938, o perché costretti a fuggire all’estero.
La decisione è contenuta in un allegato al decreto fiscale, insieme ad altri tagli che riguardano il sostegno alle famiglie e alle imprese. Una sforbiciata che rientra nella spending review che il governo ha attuato per fare cassa e trovare le coperture per la manovra. Ma che colpisce per il suo valore simbolico. Anche perché – questo il fondato timore dell’Unione delle comunità ebraiche italiane – non si tratterebbe di una riduzione dell’assegno, ma di una vera e propria cancellazione. La legge varata nel 1955 porta il nome del senatore comunista Umberto Terracini, e per circa trent’anni ha riguardato prevalentemente i perseguitati politici. Poi, dal 1986, grazie a un intervento della Corte costituzionale, nella commissione governativa che eroga gli assegni è stato inserito anche un rappresentante delle Comunità ebraiche. Da allora l’accesso a questo istituto si è diffuso anche tra gli ebrei italiani, sia quelli che hanno vissuto gli anni delle persecuzioni sia -in via indiretta- i coniugi e gli orfani con un reddito annuo sotto i 17 mila euro.
Una procedura non semplice. Gli aventi diritto devono fare domanda alla commissione e documentare gli atti persecutori che li hanno colpiti, come ad esempio le lettere delle scuole che li hanno esclusi dopo il 1938. Documenti vecchi di decenni e difficili da reperire.
Tra gli ebrei italiani la notizia ha suscitato un forte sconcerto. La presidente dell’Ucei Noemi Di Segni ha scritto al premier Giuseppe Conte, al ministro dell’Economia Giovanni Tria e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che ha la delega per i rapporti con le confessioni religiose e per le attività dedicate alla memoria. Di Segni ha anche chiesto di poter essere sentita dalla commissione Finanze del Senato che da oggi esaminerà il decreto fiscale.
L’obiettivo di questo «appello morale» è arrivare a un ripensamento da parte della maggioranza, almeno in fase di esame parlamentare del decreto. C’è tempo infatti fino a Natale prima della definitiva conversione in legge. E per evitare che partano le raccomandate in cui lo Stato informa i perseguitati che, dal 2018, non si sente più in dovere di riparare l’immenso danno che hanno subito. Neppure con un piccolo assegno.
Andrea Carugati
Offese le vittime delle persecuzioni fasciste
Apprendiamo con incredulità che nell’allegato tabellare al Decreto-Legge n. 119/18 si prevede, tra le riduzioni delle dotazioni finanziarie delle spese dei ministeri, anche un importo pari a 50 milioni del «sostegno in favore dei pensionati di guerra e dei perseguitati politici e razziali», che verrebbe quindi eliminato, di cui oggi sono assegnatari, sotto forma di indennizzo, i sopravvissuti alle persecuzioni razziali del regime fascista e i perseguitati politici antifascisti, in base alla L. n. 96 del 1955. Non ci sono ancora chiari la competenza temporale e il computo che sarà fatto, non è questo il cuore del problema che desideriamo condividere, ma rappresentarne il volto morale.
Tutti comprendiamo il difficile momento che vive il nostro Paese e gli impegni economico finanziari che governo e Parlamento, sono chiamati a definire con faticosa definizione di priorità politiche e strategiche ma le priorità, anche quelle che si traducono in numeri per una programmazione fiscale, devono preservare la memoria e la Storia di questo Paese. Storia dell’Italia, di noi tutti. La dignità di un intero Paese che «si desta» dopo la guerra, non può essere umiliata, chinando la testa e distogliendo il vigile sguardo, da un simile provvedimento.
Non riusciamo in alcun modo a comprendere come si possa mai ipotizzare di utilizzare questi fondi per la copertura di altre, pur legittime ma ben diverse, esigenze fiscali del Paese, andando a colpire migliaia di cittadini per lo più molto anziani, che hanno vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra, delle persecuzioni e delle discriminazioni politiche e razziali, persone che hanno visto la propria vita segnata da quella vicenda terribile che ha caratterizzato in modo indelebile il Novecento con l’occupazione nazifascista, a partire dai provvedimenti del ’38 e con la successiva deportazione nei campi di sterminio.
Restiamo sgomenti dinanzi a questa decretazione indifferente con la quale il governo italiano, proprio nell’ottantesimo anniversario delle leggi razziste del 1938, intende promuovere l’oblio, anziché rafforzare la memoria di quanto accaduto, attraverso la cancellazione di quell’unica misura in qualche modo riparatoria, stabilita tardivamente. Ancora oggi, con fatica e assurde prove richieste ai sopravvissuti, viene spesso negata o contestata chiedendone in alcuni casi persino l’intero rimborso. Il nostro impegno in supporto a queste fragili situazioni e dinanzi agli innumerevoli passaggi burocratici, era di chiarire una volta e per sempre che se un re, governo e Parlamento hanno emanato dei decreti legge questi già erano efficaci e si sono eseguiti con capillarità in tutte le situazioni ivi previste e che la richiesta di prove documentali ed evidenza dell’atto persecutorio ad personam, era non solo quasi impossibile nella perdita di ogni avere, ma era già ulteriore offesa in un Paese che nel dopoguerra cercava di affermarsi per i valori della vita e della liberazione.
Non abbiamo neanche il coraggio di informarne i sopravvissuti, di quanto sta accadendo, che con infinito coraggio affrontano nei loro nuclei famigliari, dinanzi a studenti e insegnanti l’impegno di raccontare gli orrori della Shoah, narrando l’inenarrabile, e dover leggere nei loro occhi il senso di desolazione e abbandono.
Quale ente che rappresenta tutti gli ebrei italiani non possiamo che invitare governo e Parlamento a riconsiderare la scelta fatta e valutare ogni possibile rimedio amministrativo, legislativo o emendativo al fine di giungere ad una soluzione che non intacchi il lungo percorso fatto in questi ultimi 75 anni di ricostruzione del Paese, permettendo così a chi ha vissuto quel buio periodo della storia e a chi ha subito persecuzioni per difendere i valori oggi sanciti nella nostra Costituzione, di continuare, per ancora una manciata di anni, di poter vivere, o meglio, sopravvivere.
Noemi Di Segni