Fonte:
La Repubblica
Autore:
Tonia Mastrobuoni
Josef Schuster “Meglio non portare la kippah in Germania: ci sono due tipi di antisemitismo”
In Germania, in alcuni casi è diventato di nuovo «sconsigliabile farsi riconoscere come ebreo», ad esempio indossando la kippah. Dopo gli episodi più recenti di antisemitismo, Josef Schuster, presidente della Comunità ebraica ricorda in quest’intervista con Repubblica che l’odio verso gli ebrei riguarda ancora un quinto dei tedeschi, che «si trasmette da secoli» e «ha radici profonde». E ad esso si aggiunge una parte di musulmani «che non sente il peso della storia tedesca» e cresce con «l’odio verso Israele e l’antisemitismo». Certo, ragiona Schuster, la Germania ha fatto i conti con il proprio passato come nessun altro, ma dipingendo troppo gli ebrei come vittime e troppo poco «come parte integrante della società tedesca da secoli».
Dopo un’aggressione a Berlino lei ha sconsigliato agli ebrei tedeschi di indossare la kippah. E diventato di nuovo cosi pericoloso essere ebrei in Germania?
«Pensavo soprattutto ai bambini e agli adolescenti che girano soli nelle grandi città. È sconsigliabile che si facciano riconoscere come ebrei. In generale penso che una certa cautela non sia sbagliata, anche se non mi spingerei sino a dire che sia pericoloso vivere in Germania come ebrei».
Quanto sono antisemiti i tedeschi? E quanto è grave l’odio che viene invece dai musulmani che vivono in Germania?
«Registriamo entrambi i fenomeni. Molti pregiudizi antisemiti sono stati trasmessi attraverso i secoli. Nelle famiglie tedesche, da una generazione all’altra. La quota è costante, attorno al 20%, da anni. Purtroppo sul web assistiamo anche a uno sdoganamento verbale. Un numero crescente di persone che ormai esprime apertamente i propri pregiudizi nei confronti degli ebrei. Ad essi si aggiunge l’odio verso Israele e l’antisemitismo da parte di una parte dei musulmani chevive in Germania. Sono cresciuti con quest’odio. L’antisemitismo tra musulmani è sentito dagli ebrei molto più spesso di quanto non lo registrino le statistiche della polizia».
Questo antisemitismo quanto ha a che fare con il conflitto israelo-palestinese, e quanto quel conflitto per qualcuno può diventare un pretesto?
«In Siria o in Iraq l’antisemitismo quasi ragion di Stato. Lì i cittadini vengono indottrinati non soltanto ad avere un atteggiamento ostile verso Israele, ma verso gli ebrei in generale. E se in Germania un palestinese aggredisce u n a sinagoga, non si tratta di un’azione politica contro la situazione in Medio Oriente: è puro antisemitismo».
Ha senso, come propone la sottosegretaria di origine palestinese Sawsan Chebli (Spd), di obbligare i richiedenti asilo a visitare i campi di concentramento?
«Credo che abbia senso includere queste visite nei loro programmi di integrazione. Da tempo siamo in contatto con l’Agenzia per l’Immigrazione per lavorare su questa questione. Perché in quei luoghi è più efficace far capire cosa è stata la shoah. L’empatia con le vittime nasce più facilmente nei luoghi dove sono avvenuti i crimini contro di loro che nell’aula di una classe».
Che cosa dovrebbe fare la politica? Crede che basti il Responsabile per la lotta all’antisemitismo appena nominato dal governo, Felix Klein?
«La nomina di Klein è un primo passo, molto importante. Si occuperà intanto di migliorare la registrazione degli episodi di antisemitismo, perché si riesca a costruire una strategia solida contro questo odio. Anche i ministri della Cultura dei Land dovrebbero aver cura di includere maggiormente nei programmi didattici la tradizione ebraica e la lotta all’antisemitismo».
La Germania ha fatto i conti molto più rigorosamente di altri Paesi con il proprio passato, con il regime nazista. Com’è possibile che ci sia ancora cosi tanto odio contro gli ebrei?
«Farebbe meglio a chiederlo a un tedesco non ebreo. C’è un difetto nella rielaborazione del passato: la rappresentazione degli ebrei soltanto come vittime, e non come parte integrante della società tedesca da secoli. Allo stesso tempo le nuove generazioni non sono quasi più consapevoli di aver avuto ex nazisti in famiglia. Mentre i pregiudizi contro gli ebrei, vecchi di secoli, hanno radici profonde e continuano ad essere trasmessi. A ciò si aggiunge l’antisemitismo tra i migranti, che non si sentono responsabili perla storia tedesca».
Lei definirebbe I’Afd un partito antisemita? E pensa che l’antisemitismo sia stato sdoganato anche in politica?
«Ci sono politici dell’Afd che sono chiaramente antisemiti. E i vertici del partito non prendono mai davvero le distanze dalle loro affermazioni. Trovo dunque le dichiarazioni di solidarietà dell’Afd nei nostri confronti o nei confronti di Israele poco credibili. Tuttavia osservo che negli altri partiti il rifiuto dell’antisemitismo c’è. La tolleranza zero per l’antisemitismo è ancora un tratto fondamentale della politica tedesca».