Fonte:
Moked.it
Autore:
Alice Fubini
Torino – Il volto del pregiudizio 2.0
Razzismo, antisemitismo e web, questi i macro-temi affrontati durante la serata organizzata dall’Asset (Associazione Ex Allievi e Amici della Scuola Ebraica di Torino). Cosa contraddistingue il razzismo di ieri da quello odierno? Se alla base si ritrovano i pregiudizi, la paura del diverso e le teorie del complotto, a cambiare sono le modalità di diffusione dei contenuti, la velocità di condivisione e la platea potenziale che può essere raggiunta. Tutto questo grazie al Web e alle piattaforme social che hanno portato all’esplosione di fenomeni quali la disinformazione, il rifiuto degli organi intermedi, la totale assenza di filtri e una sorta di autolegittimazione a dire tutto ciò che passa per la mente, senza pudore, senza rispetto. Denominatore comune: una dose crescente di odio verso i più deboli, verso gli immigrati e quindi i diversi, e poi l’astio verso la casta, i poteri, le banche, tutti elementi che alimentano la spirale dell’odio, del razzismo e dell’antisemitismo.
Ad introdurre il tema, il presidente dell’Asset, Giulio Disegni, nonché vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: “Il tavolo dei relatori è composto da voci diverse e interdisciplinari, una pluralità necessaria per affrontare il tema dell’odio, il linguaggio della violenza e della sopraffazione”.
“Fake revolution”, questo il tema del primo intervento: a dialogare con il pubblico è il ricercatore sociale, Enrico Finzi, per ripercorre quelle che si credeva sarebbero state le conseguenze positive della web revolution, a partire da una crescita in termini di democrazia contro le differenze di classe. “La rete ha portato non tanto alla democrazia digitale”, spiega Finzi, “quanto alla sua privatizzazione e ad un totale verticismo”. Altra “falsa illusione” è legata alla distribuzione del potere secondo l’equivalenza “sapere è potere”, grazie all’accesso alla conoscenza a bassissimi costi. Tuttavia la realtà in rete è definita da una “concentrazione oligopolistica”, dove a dettare legge sono gli operatori commerciali che raccolgono e rivedono i dato degli utenti. La rete poi avrebbe dovuto portare ad un aumento delle relazioni umane, in parte sì, ma il più delle volte tali relazioni rimangono relegate al solo mondo online. “Infatti si parla spesso di un aumento della solitudine degli internauti”, commenta Finzi. E poi ancora, si assiste alla crescita esponenziale di informazioni disponibili ai più, ma a tale aumento corrisponde una sempre maggiore spaccatura all’interno della società rispetto al digital devide.
Tutte queste dinamiche, in parte fallimentari rispetto alle potenzialità intrinseche alla rete, non fanno altro che determinare squilibri sociali, differenze culturali, e di conseguenza alimentano dibattiti superficiali e dettati sempre più dalla discriminazione del diverso e dalla chiusura in singoli gruppi di appartenenza, dove chi resta fuori è considerato “nemico”: “Sulla rete le persone urlano, senza freni inibitori, non c’è più la vergogna, non ci sono più filtri” e la rete diventa almeno in parte il luogo degli “haters”, dove la violenza verbale viene legittimata. Finzi conclude chiedendosi se il quadro tracciato fin qui non sia da intendersi come una sorta di “tecno-regressione sociale”.
Cultura di destra, xenofobia e la loro rappresentazione in rete, è invece il tema affrontato da Enrico Manera, ricercatore dell’Istituto Storico della Resistenza di Torino: “La rete rappresenta e potenzia una dinamica politica”, spiega Manera, “ si può infatti parlate di un ritorno del fascismo nella sua nozione più ampia, a cui si affiancano il populismo, il nazionalismo e la tutela di un’identità a scapito delle altre”. Quello a cui si assiste è un proliferare sul web di narrative di estrema destra, dato che emerge da un processo di mappatura della rete che ha permesso di individuare, nel caso di Facebook Italia, 2700 pagine apertamente filo fasciste e filo naziste e 9000 pagine meno estremiste, ma in ogni caso politicamente schierate.
Stefano Gatti, ricercatore dell’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC, si è invece soffermato sulla realtà dei siti web di stampo antisemita, prendendo dati e casi studio dalla Relazione annuale antisemitismo in Italia 2017: il numero di siti si aggira attorno ai 300, e più della metà degli episodi di antisemitismo in Italia avviene sul web. “ Si può parlare di antisemitismo 2.0”, afferma Gatti.
È poi Fabiola Silvestri, Dirigente Polizia Postale e Comunicazioni Torino, a sottolineare l’importanza della prevenzione da un lato e della repressione dall’altro, di atti discriminatori che possono rientrare nella categoria dei crimini informatici. “Si punta alla prevenzione scandagliando la rete dai troll e dagli haters e si investe in quella che si può definire l’educazione civica 2.0, per far sì che cresca il fenomeno della sicurezza partecipata”.
A concludere l’analisi sul tema è Cesare Parodi, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Torino, che nutre verso il fenomeno un marcato pessimismo per via della sua natura generale e globale, quindi più difficile da arginare. Alla base vi è tuttavia una profonda consapevolezza, che si rifà, tra gli altri, ai valori e agli obblighi di repressione di tali fenomeni, come indicato dalla stessa Carta Costituzionale, sia rispetto agli articoli sia rispetto ai termini che vi compaiono, come il caso della recente diatriba attorno al termine razza: “La Costituzione”, afferma Parodi, “rappresenta la lotta contro i pregiudizi e non contro dati scientifici e in quest’ottica ben venga e ben resti il concetto di razza”. Poi affronta il tema della censura, doverosa per certi versi, ma rischiosa per altri perché può facilmente essere generalizzata e strumentalizzata. L’intervento si conclude con un invito a riflettere non tanto sugli effetti del razzismo e dell’antisemitismo sul web, quanto sulle cause, sul perché oggi sembra che stiano acquisendo sempre più spazio e sempre più legittimità.