Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Stefano Montefiori
Minacce, complotti E dilaga la colletta in aiuto a Ramadan
Il teologo in carcere a Parigi accusato di stupri
PARIGI In quattro giorni i sostenitori di Tariq Ramadan hanno raccolto 107 mila euro (ben più dei go mila previsti) per assicurare la difesa dell’intellettuale musulmano colpito secondo loro da «una macchinazione senza nome». Il successo della campagna internazionale «Free Tariq Ramadan» mostra la forza del complottismo e la sfiducia di non pochi cittadini musulmani europei nella giustizia francese. Di fronte alle numerose e circostanziate accuse di violenza sessuale e molestie contro il predicatore 55enne, in carcere dal 2 febbraio, ci si sarebbero potuti attendere gesti di disaffezione nei confronti di un uomo sposato con figli che si mostrava pio e raccomandava di seguire i precetti del Corano contro il decadentismo occidentale salvo poi — secondo le accusatrici — picchiare, violentare e umiliare almeno cinque donne. Invece, il riflesso automatico è pensare alla trappola, al complotto. Anche in questo gli allievi seguono il maestro. Dopo l’u settembre 2001, Tariq Ramadan disse «so solo che esiste un dubbio, e che non siamo idioti al punto di pensare che altri non possano trarre vantaggio da quel che è accaduto», aggiungendo che l’allora premier israeliano Ariel Sharon avrebbe sicuramente approfittato del crollo delle Torri Gemelle per inasprire la repressione nei territori palestinesi. L’8 gennaio 2015, il giorno dopo l’attentato a Charlie Hebdo, Tariq Ramadan disse in un dibattito con Art Spiegelman che il settimanale satirico usava il pretesto della libertà di espressione «per fare soldi», e su Al Jazeera Ramadan sottolineò la stranezza dei documenti perduti dai fratelli Kouachi sul luogo dell’attacco, fornendo così il pretesto per infinite teorie di complotto. Oggi, la reazione dei suoi seguaci non è così diversa. Negli ultimi anni Ramadan ha tenuto centinaia di conferenze in Belgio, Svizzera, Francia, Regno Unito. Era ed è amato da tanti giovani perché raccomandava loro di vivere pienamente la doppia identità musulmana ed europea, senza vergognarsi della religione, senza relegarla alle mura domestiche. Oggi molti non possono accettare che il punto di riferimento venga accusato di stupro: è un mondo che crolla. La moglie Iman Ramadan parla di una «volontà politica di tenere mio marito in carcere», mentre il fratello Hani evoca il solito «complotto sionista». Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani e (ormai ex) professore a Ginevra, Doha e Oxford, tenuto in custodia cautelare nonostante sia malato di sclerosi a placche, sarebbe vittima di una gravissima ingiustizia secondo i rettori della Grande moschea di Lione, Kamel Kabtane, e di Villeurbanne, Azzedine Gaci, che chiedono la sua «liberazione immediata». La prima donna che lo scorso autunno ha presentato denuncia , Henda Ayari, dice che i sostenitori di Ramadan la sottopongono a un «linciaggio quotidiano»: «Mi hanno seguito con l’auto e mi hanno tranciato le gomme. Mi riconoscono per strada e mi insultano, mi aggrediscono anche quando vado a fare la spesa. Ormai il mio volto è conosciuto, per me è un incubo». La Corte di appello di Parigi nega la scarcerazione per «evitare ulteriori pressioni sulle testimoni», e per «impedire nuove violenze».