25 Gennaio 2018

Reportage sul monumento antisemita di Sarentino (Alto Adige)

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Lorenzo Cremonesi

Il monumento antisemita in Alto Adige che nessuno è riuscito a rimuovere

Dal 2008 è nel giardino di una casa privata (visibile al pubblico). La denuncia del sindaco

Sarentino (Alto Adige) La statua del Kaiserjäger con il fucile in mano immortalato nel bronzo brunito per commemorare i volontari altoatesini morti combattendo le truppe italiane un secolo fa sta marzialmente eretta a pochi passi dalla via principale nel centro del paese. Sarà alta un paio di metri, ma appare ancora più imponente sul suo piedestallo di pietra circondato da una bassa staccionata che delimita il giardinetto di un’abitazione privata a tre piani. Difficile non vederla per chiunque faccia quattro passi tra gli antichi vicoli e le case di Sarentino, poco più di 7 mila abitanti sulle montagne, a una ventina di chilometri da Bolzano. Come del resto è praticamente impossibile non notare la targa in tedesco a caratteri gotici dorati sullo sfondo scuro alla sua base. Solo poche righe, eppure fanno precipitare in un passato non troppo distante di risentimenti, odio e antisemitismo. Dopo aver ricordato i caduti nella Prima guerra mondiale «per Dio, l’Imperatore e un Tirolo unito», il testo recita: «Morirono vittime del più grande tradimento di tutti i tempi perpetrato Il 26 aprile 1915 da re Vittorio Emanuele III e dal suo complice e ministro degli esteri, l’ebreo barone Luigi Sidney Sonnino». Ecco, semplice, semplice: come se fossimo tornati agli anni Trenta del Novecento, allo stereotipo dell’ebreo traditore che complotta ai danni dell’umanità, come se non ci fossero mai stati le leggi razziali e l’Olocausto. «Non la statua, che fa ancora parte del sentire collettivo in queste regioni, ma è la targa che va messa sotto accusa e levata il prima possibile. Ci abbiamo provato più volte, senza risultati», sostiene Elisabetta Rossi Innerhofer, presidente della comunità ebraica di Merano. Il contenzioso dura da tempo. Sin dal 2010, due anni dopo che il proprietario del terreno e dell’abitazione vicina, l’oggi 75enne Hans Meraner ex impiegato della Provincia di Bolzano in pensione, decide a spese proprie (valutate tra i 25 e 50 mila euro) di far costruire monumento e targa da un fabbro di Bologna e poi piazzarli in piena vista nel suo giardino. I primi a chiederne la rimozione sono due deputati Verdi dell’Alto Adige, Hans Heiss e Riccardo Dello Sbarba. Si muove allora Franz Locher, sindaco di Sarentino dal 2005 e oggi 52enne. «La nostra contestazione principale era che il monumento è illegale, non rispetta le regole urbanistiche, in quanto si trova a meno di 5 metri dalla strada ed è visibile dal pubblico», spiega. Nel frattempo Meraner ricorre a un noto avvocato di Bolzano, Manfred Natzler, il quale trova un appiglio per garantire il proprio cliente: il monumento sarebbe in realtà un «abbellimento del giardino», non necessita di licenze edilizie e non deve rispettare il limite dei 5 metri, alla stregua di un nanetto di pietra o una pianta. La Procura di Bolzano fa quindi sapere ai Carabinieri di Sarentino che il caso verrà archiviato. Il monumento resta dove sta. Tra le ragioni dell’insabbiamento c’è anche il timore che i nazionalisti tirolesi prendano la palla al balzo per chiedere come controparte l’abbattimento dei memoriali fascisti, specie quelli nel centro di Bolzano, tra i quali un contestatissimo busto di Mussolini, oltre al Monumento della Vittoria che fu completato nel 1928. La polemica è dunque ben nota tra le autorità locali. Ma a Sarentino molti preferiscono far finta di niente. Incontrando i negozianti del centro, il parroco, un giornalista del settimanale locale, un maestro di scuola, i gestori di hotel e ristoranti tutto attorno al monumento la risposta più comune è «non ne so nulla, mai letta la targa». I più cercano di sfuggire alle domande. E lo stesso Meraner, raggiunto per telefono dopo ripetuti tentativi in cui lui aveva subito chiuso la conversazione nel sentire la parola «giornalista», ha infine reagito brusco: «Della stampa non mi fido. Voi scrivete un mucchio di falsità, sto preparando un saggio per spiegare le mie ragioni». Non gli interessa neppure il chiarimento per cui Sonnino era sì figlio di padre ebreo, ma in realtà era cristiano, visto che aveva optato di essere anglicano come la madre inglese. E poi un suo vecchio amico residente nel quartiere, Augusto Benolli, a fornire una versione convincente: «Qui gli anziani sono ancora tanto condizionati dai drammi del Novecento. Il padre di Meraner era un noto nazista che ha sempre avuto grande influenza sul figlio, compreso l’antisemitismo». *** Dai dati raccolti presso gli uffici comunali emerge così che il vecchio Meraner al tempo dei celebri accordi tra Mussolini e Hitler nel 1939 che concedevano la libertà ai sudtirolesi filo-germanici di trasferirsi nei territori del Reich, decise di andare con la famiglia a Innsbruck. Divennero così parte di quell’ottantasei per cento di «Deutschwahler», circa 210 mila persone che optarono per la cittadinanza tedesca, di cui in realtà solo un terzo, in tutto 75 mila, lo fecero davvero. Gli altri, i «Dableiber» (coloro che vogliono rimanere), vennero platealmente considerati dei «traditori» dalla maggioranza. «Allora si aprirono fratture sociali mai sanate. Ci furono lotte identitarie laceranti nei villaggi, nel clero locale, persino nelle famiglie divise tra genitori e figli. La lapide di Sarentino ci ricorda che quelle diatribe non sono ancora spente», sostiene lo storico Leopold Steurer. A suo dire, la narrativa del «tradimento» italiano del Sud Tirolo, aggravata del razzismo nazista, ha origine proprio nella Grande Guerra. «Quello di Meraner non è un caso isolato, piuttosto è in continuità con l’ideologia nazionalista sudtirolese, per cui noi non abbiamo affatto perso la guerra, ma furono i politici di Roma a imbrogliarci, prima firmando il Patto di Londra nell’aprile 1915, che portava l’Italia a rinnegare la Triplice Alleanza per schierarsi dalla parte di Francia e Inghilterra, quindi nel 1918 ad annettersi subdolamente le nostre terre nelle 24 ore seguite all’armistizio del 3 novembre 1918».