4 Agosto 2017

Riflessione di Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC, sulla proposta di istituire una giornata della memoria per ricordare le vittime dell’unificazione italiana

Fonte:

Moked.it

Autore:

Gadi Luzzatto Voghera

…Memorie

Nel corso dell’ultimo ventennio, a seguito dell’istituzione del Giorno della Memoria per le vittime della Shoah, sono proliferate in Italia le iniziative per identificare nuove e diverse giornate dedicate alla memoria di alcune categorie di vittime. Al giorno del ricordo per le vittime delle Foibe (10 febbraio) si è aggiunta la giornata nazionale della memoria delle vittime di Mafia (21 marzo) e di recente si è aggiunta la giornata in memoria dei giusti dell’umanità (6 marzo), allineata a una decisione già presa in sede ONU qualche anno fa. Una proliferazione di memorie sancite da provvedimenti legislativi che da molte parti vengono messi in discussione nella loro opportunità ed efficacia. A riaccendere la polemica sulla dinamica complessa che si stabilisce fra ricerca storica, memoria e celebrazioni istituzionali giunge ora una mozione proposta dal Movimento Cinque Stelle in Puglia e in Campania, votata dai rispettivi consigli regionali, per istituire una giornata della memoria il 13 febbraio (data in cui cadde la fortezza di Gaeta nel 1861) per ricordare le vittime dell’unificazione italiana. Da più parti – ma in particolare e con ragione dalla comunità degli storici dell’età contemporanea http://www.sissco.it/articoli/sulla-giornata-della-memoria-per-le-vittime-meridionali-dellunita-ditalia/ – si sono avanzate decise riserve sull’opportunità di questa iniziativa politica. È evidente a chiunque conosca un minimo delle vicende che accompagnarono il processo unitario della Penisola (e il dibattito storiografico che su di esso si concentra) che l’istituzione di una legge della memoria su quegli avvenimenti determina già un giudizio e un’interpretazione avventata, disegnando due ruoli impropri – quello degli ipotetici massacratori e quello delle vittime – che non spiegano la dinamica degli avvenimenti e accreditano l’ipotesi molto discussa della “guerra di conquista piemontese” nei confronti di un meridione arretrato e insofferente. A prescindere del paradosso istituzionale di un consiglio regionale che vota a favore di una legge che interpreta la storia dell’Italia in senso fondamentalmente anti unitario, a me sembra che in gioco qui ci sia il concetto stesso di Memoria e l’evidente deriva manipolatoria che una classe politica sempre più inadeguata sta conducendo in maniera dissennata. Quando si parla di Memoria è necessario far riferimento ad almeno due dati fermi e imprescindibili: 1) si fa Memoria di un contesto in cui le vittime sono civili inermi colpiti da un disegno politico/militare dichiaratamente oppressivo e violento; 2) la Memoria è funzionale ad attivare un rinnovamento delle ricerche storiche che – condotte in maniera rigorosa e fondate su documentazione certa – contribuiscano alla crescita di una sensibilità continuativa sulle giovani generazioni che vanno a costruire la nostra società civile. Sulla Shoah (nonostante le forti riserve che continuano ad emergere sull’utilità di quel Giorno) la dinamica è stata virtuosa ed evidente, con l’esplodere di una vera e propria stagione di ricerche, percorsi didattici e iniziative a tutti i livelli. Sulle Foibe si può dire che sia accaduto qualcosa di analogo, e si è attivato un processo di ripensamento degli avvenimenti che hanno segnato la fine della guerra al confine orientale, oltre allo svilupparsi di ricerche sul comportamento degli italiani come forza occupante nei Balcani. Sulla Mafia si sono attivate schiere di giovani che hanno preso coscienza del pericolo sociale determinato dalla mentalità mafiosa e lo combattono con iniziative che contribuiscono all’emancipazione sociale del Meridione. Sui Giusti ancora si può dire poco (la legge è molto recente) e sono anche qui molte le perplessità, proprio in relazione alla interpretazione storica in relazione al comportamento dei singoli. Ma la proposta di legge avanzata in Puglia e Campania (per diretta iniziativa politica e senza alcuna istruttoria di tipo storico/scientifico) assume in questa prospettiva l’amaro sapore della manipolazione, con riflessi inquietanti sulla predisposizione sempre più evidente in certi settori della politica italiana a raccontare la storia a proprio uso e consumo, facendosi beffe delle fonti e degli ambiti istituzionali e professionali (università, istituti di ricerca) che la storia la studiano per mestiere e tentano di interpretarla.