4 Agosto 2017

Atto di razzismo a Cervia: «Mi dispiace Paolo, ma non posso mettere ragazzi di colore in sala»

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Elisabetta Andreis, Anna Budini

«Sei di colore, non ti assumo

Mi hanno ferito con un sms»

Paolo, milanese adottato, respinto da un ristorante di Cervia

Sulla base del suo curriculum vitae era stato selezionato per quel lavoro di cameriere sulla riviera romagnola cui teneva moltissimo: «Nel Cv c’era la mia foto in bianco e nero — sospira ancora incredulo —. Andava tutto bene, l’assunzione era già stata concordata. Ma quando per l’ultimo passaggio formale ho inviato la carta di identità a colori, ho ricevuto sul telefono un sms allucinante. L’ho letto trenta volte con le lacrime agli occhi prima di arrendermi. Non ci volevo credere». L’sms diceva così: «Mi spiace Paolo ma non posso mettere ragazzi di colore in sala, qui in Romagna sono molto indietro con la mentalità… Scusami ma non posso farti venire giù. Ciao». Scartato di colpo, per la sua pelle nera. Peraltro Paolo Grottanelli, 29 anni, è italiano a tutti gli effetti: ultimo di quattro figli, abbandonato piccolissimo a San Paolo del Brasile, ha vissuto in un orfanatrofio fino ai tre anni. Poi una coppia di Milano lo ha adottato insieme ad uno dei fratelli, e gli altri due della famiglia sono stati affidati poco lontano, in Brianza. «Ho studiato all’alberghiero con il massimo dei voti, mi sono impegnato a scuola, mi rendo conto dell’opportunità — ringrazia —. Dopo il diploma ho fatto di tutto, magazziniere, aiuto cuoco. Ma la mia attività ideale è servire le persone in sala. Fare il cameriere». Aveva quasi coronato il suo sogno, con l’impiego nell’albergo di Cervia. «Sarei stato solo uno stagionale ma se non si inizia, non si va mai avanti», afferma con grinta. La doccia fredda dell’sms non se l’aspettava proprio. «Mi tremava la mano. Volevo richiamare l’albergatore, dirgli quello che pensavo di lui e di questa violazione dei diritti umani) . Non ce l’ha fatta. Si è sfogato invece con sua mamma Paola Colombini. Con lei che da sempre, per politica e impegno civile — o quasi per destino — è impegnata nella difesa dei meno forti, di quelli «che non hanno le parole per difendersi». Le è toccato mobilitarsi per suo figlio, stavolta, e ancora non si capacita. «Hanno leso la sua dignità e l’identità culturale, Paolo era pronto a partire due giorni dopo — attacca —. Stiamo ricorrendo alle vie legali con il sostegno della Filcams Cgil che ci supporta da quando è successa questa vergogna per il mercato del lavoro italiano». Il fatto risale al 18 giugno, ma il dispiacere di Paolo non è sfumato. Di buono c’è che proprio due giorni fa lo hanno preso in un bar della movida milanese. «Sono in prova — si schermisce lui —. Ma adesso vorrei essere assunto qui, visto che in Romagna non posso andare». Una sola altra volta gli era capitato di essere oggetto di discriminazione. «Andavo in bici, mi rincorsero urlandomi insulti per il colore della mia pelle», rabbrividisce. Si dice «orgogliosamente italiano», aggiunge «ogni anno il 25 aprile scendo in piazza». Quasi dovesse dimostrare qualcosa. Giustificarsi. «Il portoghese neanche lo so, non sono mai più tornato in Brasile». Eppure, come è naturale e giusto, è attaccato a quelle origini che sono l’inizio della sua storia: «Un giorno le vorrò conoscere. Ci manca che diventino un peso per la mia vita », si incupisce. Reazioni di condanna si levano dal mondo politico e sindacale. «È razzismo — dicono dalla Filcams-Cgil, che preferisce lasciare l’albergatore nell’anonimato —. Al danno patrimoniale per avere perso la stagione lavorativa si somma l’umiliazione e la profonda ingiustizia di cui Paolo è vittima». Solidali con lui anche le associazioni degli albergatori: «Sono triste e sbalordito — commenta il presidente Ascom Cervia Maurizio Zoli — Per me esistono solo camerieri cuochi e addetti alla reception che hanno un ruolo e una professionalità»