Fonte:
Moked.it
Autore:
Noemi Di Segni, Daniel Reichel
“Antisemitismo e islamofobia?
Sono concetti ben distinti”
Non si può “rispondere in positivo” alla domanda “antisemitismo e islamofobia: due facce della stessa medaglia?”. Ad affermarlo in modo chiaro, la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni nel corso del convegno tenutosi ieri a Palazzo Marino che gravitava proprio attorno a questo interrogativo. Un’iniziativa organizzata da Daniele Nahum assieme alla Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) nella prestigiosa Sala Alessi del Comune di Milano – che ha dato il patrocinio all’evento – e che si è aperta con i saluti del sindaco Giuseppe Sala. “È necessario riflettere a partire da questo interrogativo”, ha affermato Sala, ricordando che “i sindaci delle grandi città metropolitane si interrogano su come garantire i sevizi ai cittadini, ma anche sul futuro della vita sociale” che passa dall’integrazione, da una “nuova forma di multiculturalismo” e dal rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione. “Devono essere rispettati da tutti sia i diritti sia i doveri di cittadinanza” stabili nella Carta costituzionale, ha ricordato il sindaco, parlando di Milano come di un laboratorio e di un modello possibile di convivenza per il resto del Paese.
Folto il numero degli interventi, tra cui in apertura quello dell’imam Yayha Pallavicini, presidente del Coreis, che ha ribadito come antisemitismo e islamofobia “non sono due facce della stessa medaglia, e vanno effettivamente evitate confusioni”. Nel suo intervento Pallavicini ha anche contestato il termine islamofobia, perché suggerisce la presenza di “una patologia” mentre siamo di fronte “a false fobie e vere violenze” di chi ha paura dell’Islam in quanto religione. A proposito di falsità, l’imam ha definito come “false rappresentazioni della dottrina islamica” quelle seguite da jihadisti e presunti califfati. “Ci aspettiamo dalla Comunità islamica la forte condanna di ogni atto di terrorismo. – aveva sottolineato in precedenza la Presidente UCEI, ricordando il lavoro del Coreis e di Pallavicini a cui però è necessario si aggiungano altre voci – Ci aspettiamo la condanna di ogni forma di antisemitismo. Solo questo può conferire loro autorevolezza. Anziché dire anche noi subiamo dovete dire pure noi condanniamo. Questo ne sono convinta potrà limitare la crescita di atteggiamenti islamofobi”.
A intervenire all’incontro – “un momento di dibattito necessario e formativo per guardare in faccia ai problemi reali”, ha sottolineato Daniele Nahum – anche il presidente della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani: “porto qui i miei saluti e del copresidente della Comunità Raffaele Besso. Il tema di questo dibattito è impegnativo e noi siamo sempre aperti al confronto e allo scambio”.
Sulla pericolosità dell’antisemitismo si è concentrato l’intervento del direttore del Centro di Documentazione ebraica contemporanea Gadi Luzzatto Voghera, che ha ricordato come proprio in Sala Alessi, con il patrocinio del Comune di Milano, sia stata recentemente presentata la relazione annuale sull’antisemitismo in Italia e come la preoccupazione sia di un uso sempre più diffuso nello spazio pubblico della tipica retorica antisemita. Vittorio Robiati Bendaud del Tribunale Rabbinico del Centro e Nord Italia ha messo la lente sul mondo islamico, in cui – in diversi ambienti – permangono sentimenti profondamente ostili agli ebrei e a Israele. Il presidente di Gariwo Gabriele Nissim ha invece sostenuto che il bersaglio principale della retorica violenta siano i musulmani, citando chi “non vuole costruire le moschee”, chi parla di “invasione islamica” e chi vede dietro ogni musulmano un terrorista. Dell’importanza della costruzione di una società multietnica e multiculturale, investendo sia nell’accoglienza quanto nella sicurezza ha parlato poi Gadi Schoenheit, consigliere della Comunità ebraica di Milano. Una società in cui ciascuno rispetta la diversità dell’altro e in cui la Memoria della Shoah ha uno spazio fondamentale, come hanno ricordato tra gli altri i giovani fratelli Hajraoui, della Confederazione Islamica Italiana, che hanno richiamato Primo Levi e ricordato il lavoro fatto sul tema assieme all’Unione giovani ebrei d’Italia.
In chiusura, Abd Al Sabur Turrini, direttore generale della Coreis, ha parlato dell’importanza di iniziative come quella in Sala Alessi che permettono di proseguire la strada per la conoscenza reciproca tra le diverse realtà. Turrini così come Nahum hanno poi ricordato l’importanza del coinvolgimento delle istituzioni e, nello specifico, della partecipazione del sindaco Sala: un segnale importante per quanto riguarda l’impegno a costruire una società civile proiettata verso l’integrazione e il rispetto delle differenze.
Daniel Reichel
Di seguito il testo del discorso della Presidente UCEI
«Signor Sindaco, Signor Presidente Imam Pallavicini, Autorità, relatori, cari amici
è un grande onore essere qui oggi, in questa sede prestigiosa, a condividere – tra amici – riflessioni e considerazioni che legano un lontanissimo passato ed un presente sempre più pressante. Un legame tra religione e violenza, tra fedeli violenti e valori della fede, tra ebraismo e islam che non è iniziato appena ieri. Sento al contempo una grande responsabilità – di saper rappresentare lo spessore dei millenni carichi di vissuto, di pogrom e stermini, nello spazio europeo nel quale oggi condividiamo le nostre esistenze e negli oltre 20 Paesi arabi a dominazione islamica. Il peso e lo sguardo di generazioni e generazioni, di antenati, delle comunità ebraiche italiane che rappresento e che mi osservano in questo momento, e si chiedono se saprò rappresentare le loro sofferte esistenze, i loro diritti violati, le loro vite violentate.
Comprendo le ragioni della domanda posta e mi rendo conto che l’accostamento è sempre più frequente e impone l’attento distinguo. “Antisemitismo e islamofobia: due facce della stessa medaglia?”. Lo dico sin da subito, con rispetto e proprio per il compito al quale siamo istituzionalmente chiamati e delegati: non credo di poter rispondere in positivo e c’è una differenza su diverse dimensioni tra questi due termini. Al contrario vorrei porre mille altre domande. I perché dell’antisemitismo che innumerevoli studiosi e ricercatori cercano di sistemare, i perché che poniamo nelle nostre intime preghiere. I perché che non consentono di appiattire l’odio subito da gruppi religiosi sotto un unico fenomeno. Non siamo minoranze così facilmente omologabili.
Se ci concentriamo esclusivamente su quest’oggi e nello spazio congiunturale ignorando interi continenti e millenni forse sì potremmo all’apparenza dire che si tratta di fenomeni di odio rivolti contro popolazioni innocenti in ragione della loro religione. Potremmo usare le nostre sofferenze per testimoniare solidarietà e comprensione, per invitare a fare tacere ogni forma di odio, di anti e di fobia, nei singoli, nelle aggregazioni sociali, nelle istituzioni preposte allo sviluppo e alla cooperazione. Potremmo sì fare comprendere la devastazione umana che tali forme di odio, sempre più subdole ed estese comportano cosi come il mancato sviluppo delle stesse economie e società che ne hanno perseguito il perfido disegno.
E invece – l’antisemitismo ha radici profonde ed oscure – si è presentato in ogni epoca sotto diverse forme ed espressioni in base al potere dominante – religioso cattolico, religioso islamico, comunista, fascista, nazista, populista, neo fascismo, neo nazismo, destre estreme. Non solo dall’alto al basso – dalle istituzioni e dai governi nelle loro azioni o omissioni ma anche dalla più vasta popolazione, depauperata di valori, dimentica di quanto appena accaduto 80 anni fa, che rinnega, rivede e reinventa la storia. Un antisemitismo che prende di mira non solo la religione diversa o i fedeli di altra confessione (ossia ebrei) ma anche e precisamente Israele. Unico Stato al mondo del popolo ebraico.
L’analisi storica della distinzione tra antisemitismo e islamofobia va fatta e son certa la presenteranno i prossimi relatori – e questa comprensione è necessaria ed indispensabile per porre nel modo corretto le azioni volte ad arginare questi due distinti fenomeni, per costruire un futuro diverso.
Tutto questo è ben evidenziato nel rapporto presentato appena due settimane fa in questa stessa sede dal Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec). Trovo importante come segnale e come riferimento l’approvazione da parte del Parlamento europeo della risoluzione lo scorso 1 giugno nel quale viene approvata la definizione di antisemitismo. È un testo articolato e pone attenzione sui diversi risvolti. Riflettiamo: se dovessimo in questa definizione sostituire il termine islam con ebraismo, antisemitismo con islamofobia, Israele con i Paesi di dominio islamico – sarebbe lo specchio corretto di questo fenomeno? Credo di no.
Questa risoluzione, a mio avviso storica, dà – più di tante altre prese di posizione – il senso della gravità di quanto sta accadendo. E ci ricorda come l’antisemitismo non sia un atto rivolto soltanto contro un singolo o una collettività ben delimitata – non è solo un “problema” degli ebrei – ma una ferita che viene inflitta alla società nel suo insieme e ai valori che rappresenta ed è chiamata a tutelare. I governi degli Stati membri ad adottarla nelle rispettive giurisdizioni. Ma non basta.
Stiamo rileggendo pagine di storia che avremmo voluto archiviare e riservare alla sola indelebile memoria, riscritte e ristampate con nuovi inchiostri digitali ma sempre più diffuse. Stiamo partecipando ad organizzazioni internazionali che hanno dimenticato la loro essenza e funzione istituzionale, asservite ai poteri della discordia e della rinnegazione anziché impegnarsi nella generazione di una forte ed incisiva cultura della diplomazia e della dialettica.
Oltre alla minaccia incombente del terrorismo islamico che così tanti lutti ha causato in Europa e nel mondo – soprattutto in ambito islamico – e al quale siamo sottoposti come minaccia ogni giorno – l’acuirsi di una fase di rancore e disagio sociale che sempre più affiora, pone un interrogativo aperto sul futuro.
In quest’ottica la trappola illusoria del concetto “Il nemico del mio nemico è mio amico” è grave e pericolosa. A volte forse potremmo dire “non è necessariamente mio amico”. Noi non possiamo illuderci che la difesa e la salvaguardia delle nostre popolazioni, città e modelli di democrazia sia affidata a chi dichiara di allontanare immigrati e tenere lontano della nostre coste nuovi arrivi, ma che di fatto rappresentano gruppi che coltivano odio, razzismo – neofascisti ed estremisti. Non possiamo affidare la nostra sicurezza a chi semina terrore ed odio. Non possiamo riconoscere legittimità di azione e a chi non riconosce i valori della democrazia e non si riconosce nella nostra Costituzione. Sindaci, Prefetti, forze dell’Ordine e le Istituzioni tutte devono fare rete e avere piena contezza.
Pur nei distinguo fatti è mia personale convinzione che un ruolo fondamentale, ed una responsabilità nella lotta all’odio in qualunque forma esso si presenti, vada riconosciuto ai leader religiosi. Responsabili nei confronti delle loro comunità su un piano etico e morale, noi abbiamo il dovere di parlar chiaro, di prendere posizioni inequivocabili. Di essere, in due parole, “da esempio”. Pertanto, davanti a situazioni che mettono a rischio il nostro futuro, non ci possono essere mezze misure e ambiguità.
Al contrario dobbiamo dimostrare che la religione ha una valenza nelle nostre vite appese all’attimo fuggente alle incertezze che governano le nostre relazioni affettive, lavorative e sociali. Svolge un ruolo sociale, anche non religioso.
Ci aspettiamo dalla Comunità islamica la forte condanna di ogni atto di terrorismo. Ci aspettiamo la condanna di ogni forma di antisemitismo. Solo questo può conferire loro autorevolezza. Anziché dire “anche noi subiamo” dovete dire “pure noi condanniamo”. Questo ne sono convinta potrà limitare la crescita di atteggiamenti islamofobi.
Non basta lo straordinario lavoro della COREIS, per cui ringrazio l’amico Imam Pallavicini che interverrà tra poco, che da sempre porta avanti un progetto di Dialogo impostato sul piano del confronto sereno e del reciproco arricchimento. Più e più voci devono sentirsi in modo inequivocabile, ogni volta che le circostanze lo renderanno necessario.
Chiudo ribadendo: la nostra voce, se dall’altra parte vi saranno chiarezza e trasparenza, si leverà sempre a difesa di ogni forma di negazione e di violenza, per cooperare e condividere un progetto educativi e culturale, per collaborare su molti temi di comune cura.»
Noemi Di Segni, Presidente UCEI