Fonte:
http://www.corriere.it/tecnologia
Autore:
Lorenzo Fantoni
Blue Whale, il gioco del suicidio
che molto probabilmente non esiste
Una storia vecchia torna d’attualità in Italia a seguito del servizio fatto in tv da Le Iene. Ma più che una vicenda da «Internet cattiva» sembra una «fake news» rimbalzata e fatta rimbalzare
Cos’è Blue Whale
Dopo il servizio de Le Iene domenica scorsa su molte pagine web italiane si è ritornati a parlare del caso «Blue Whale». Con quale grado di correttezza di informazioni cercheremo di scoprirlo con questo servizio. Intanto le basi: con il nome «Blue Whale» si identifica una sorta di assurdo rituale che ha lo scopo di condurre qualcuno, prevalentemente un giovane, debole e depresso, verso il suicidio. Una sorta di gioco online a cui si decide di partecipare volontariamente postando un messaggio con l’hashtag #f57 che porta all’immediato contatto in forma privata con un «master» che sottopone un elenco di prove ben precise. Il master sarebbe in possesso di informazioni personali che in caso di disobbedienza porterebbero a ritorsioni violente sulla famiglia del «giocatore». Le presunte, ma decisamente tutte da confermare, morti dovute a questo assurdo gioco sarebbero oltre 130, con casi che si concentrano in Russia, ma si estendono anche al resto del mondo. A rinvigorire la storia ci sarebbe anche l’arresto di Philiph Budeikin, ragazzo russo che si sarebbe dichiarato colpevole di aver portato al suicidio un numero imprecisato di persone.
Il nome Blue Whale si ispira ovviamente alle balene e alla loro pratica di spiaggiarsi e morire senza alcun apparente motivo. Come detto, in questi giorni Blue Whale è sulla bocca di tutti a seguito del programma Le Iene in cui i conduttori dichiaravano di aver fatto luce sulla vicenda. Tuttavia di Blue Whale si parla da almeno un anno, forse di più e la verità è decisamente più complessa di una psicosi da «Internet cattivo» e riguarda più le leggende metropolitane che una presunta setta che incita al suicidio. Oltre a tutto questo, nel 2016 è uscito un film, «Nerve», che per certi versi riprendeva le tematiche di Blue Whale, e si è innescato quindi una sorta di cortocircuito in cui è difficile capire se un caso isolato è diventato leggenda metropolitana, se la leggenda è stata imitata dalla realtà o se è entrata di mezzo anche una strana storia di marketing virale. Ciò che cercheremo di fare in queste schede è gettare una luce su questo fenomeno, dimostrando che si tratta in gran parte di una psicosi e di un caso montato su leggende metropolitane che qualcuno ha cercato di rendere vere per puro calcolo personale. L’unica certezza in questi casi è l’incertezza data dalle dinamiche della rete.
Dove nasce la leggenda
Blue Whale galleggia nel mare di storie dell’orrore e leggende metropolitane che vengono narrate e conservate in quegli angoli della rete più inclini a mostrare immagini violente e disturbanti. Di solito vengono chiamate «creepypasta». Il nome è una crasi storpiata “cut and paste”, ovvero l’atto di copiare e incollare un testo per diffonderlo nei forum e «creepy» che in inglese vuol dire «inquietante». Fondamentalmente non sono altro che la versione web, e quindi ancora più esagerata, delle storie del terrore che si raccontano in campeggio. Alcune di esse, col tempo, si sono poi diffuse a tal punto da arrivare al grande pubblico, come nel caso di «Slender Man», e quindi entrare nell’immaginario collettivo e trasformarsi in film dell’orrore, fumetti o videogiochi. Il destino di Blue Whale non è molto diverso.
Esplora il significato del termine: Per iniziare Blue Whale bisognerebbe frequentare forum o gruppi dedicati al suicidio o al gioco, di solito hanno nomi che riguardano le balene, e scrivere un messaggio usando l’hashtag #f57. A quel punto si verrebbe contattati da un «master» che, non si sa bene come, convincerebbe la vittima di essere in possesso di informazioni personali che possono essere usate per far del male alla sua famiglia. Poi il malcapitato deve sottostare a una serie di prove che prevedono l’ascolto o la visione di film e canzoni proposte dal master, ferite autoinflitte o sostare per un po’ di tempo sul bordo di un palazzo molto alto o sui binari di una ferrovia. Ovviamente tutto dev’essere tenuto segreto, pena la morte dei familiari.
Per iniziare Blue Whale bisognerebbe frequentare forum o gruppi dedicati al suicidio o al gioco, di solito hanno nomi che riguardano le balene, e scrivere un messaggio usando l’hashtag #f57. A quel punto si verrebbe contattati da un «master» che, non si sa bene come, convincerebbe la vittima di essere in possesso di informazioni personali che possono essere usate per far del male alla sua famiglia. Poi il malcapitato deve sottostare a una serie di prove che prevedono l’ascolto o la visione di film e canzoni proposte dal master, ferite autoinflitte o sostare per un po’ di tempo sul bordo di un palazzo molto alto o sui binari di una ferrovia. Ovviamente tutto dev’essere tenuto segreto, pena la morte dei familiari.
Il primo contatto
Blue Whale emerge per la prima volta nel 2016 in un articolo del sito russo Novaya Gazeta a cui si rifanno tutti i siti che ne parlano oggi, che racconta di decine di ragazzi che si sarebbero suicidati nell’arco di sei mesi. L’articolo è perfetto per una condivisione poco attenta ed estremamente virale: le informazioni sono in russo, quindi difficilmente verificabili e contengono un grado di morbosità che ne aumenta le letture, dunque si diffonde a macchia d’olio. Secondo il sito alcuni dei suicidi facevano parte di gruppi su VKontakte, il più diffuso social network russo. Novaya Gazeta parla di almeno otto morti legate a questo gioco, tuttavia una successiva inchiesta di Radio Free Europe non ha trovato riscontri fondati a questa affermazione. I suicidi ci sono stati e VKontakte sarebbe pieno di gente che posta immagini di ferite autoinflitte e chiede di poter giocare a questo gioco, ma paradossalmente sembra tutta una vicenda che si autoalimenta basandosi sulla suggestione.
In molti hanno criticato l’articolo di Novaya Gazeta, sia per la mancanza di dati verificabili, sia perché scambia la causa per l’effetto. Stando a quanto dichiarato infatti molti ragazzi si sarebbero ammazzati seguendo i gruppi su VKontakte che trattano l’argomento, ma è molto più plausibile invece che una persona con tendenze suicide segua forum o comunità online che discutono dell’argomento, piuttosto che lo diventi dopo averle seguite. Insomma, varrebbe la stessa regola di qualunque altro interesse: non si diventa pescatori leggendo un forum di pesca, si legge un forum di pesca perché lo si apprezza come sport o passatempo.
Il mito di Rina Palenkova
Internet è piena di gruppi dedicati al suicidio, alcuni cercano di aiutare i proprio iscritti a non commetterlo, altri sono invece luoghi di incontro per chi cerca consigli su come renderlo indolore o persino qualcuno con cui commetterlo. Purtroppo è difficile capire quanto questi luoghi possano rappresentare una risorsa per evitare il suicidio o piuttosto una riserva di caccia per personaggi poco raccomandabili che non vedono l’ora di accanirsi su soggetti vulnerabili. Scorrendo le pagine di questi forum si fa riferimento a Blue Whale, ma più come leggenda metropolitana legata all’articolo di Novaya Gazeta che come movimento organico e organizzato. Di fronte a casi come questo è sempre molto difficile separare mitomani, emulatori e impostori che rimbalzano tra Reddit, Tumblr, social network, forum, catene su Whatsapp. Un modo per comprendere l’assurdità di questa storia è riflettere sulla figura di Rina Palenkova.
Col nome di Rina Palenkova si identifica una ragazza che si sarebbe uccisa dopo aver postato una sua foto su VK.com e che avrebbe fatto parte di una specie di culto mai identificato. La sua figura è stata montata e ricondivisa sul social network russo, con tanto di foto scioccanti, video dal sapore esoterico fino a trasformarla in una sorta di oscuro meme del suicidio, perfetto per plagiare persone più deboli e creare sottoculture nocive. Il dubbio che il personaggio di Rina Palenkova sia montato ad arte viene quando nei suoi video notiamo strani simboli che poi si sono rivelati, secondo Meduza, essere il logo di una marca di lingerie.
Gli Arg
Sempre secondo Meduza, a complicare ancora di più la situazione c’è l’uso di Blue Whale e della figura della Palenkova per creare degli ARG, ovvero giochi in realtà alternativa, estremamente criptici che mescolano filmati da decifrare, luoghi reali e messaggi in codice e che tendono a calamitare attorno a sé gruppi di appassionati ansiosi di risolverli. C’è quindi il rischio che in alcuni casi le community legate a questi giochi vengano scambiate per gruppi di persone che promuovevano il suicido e Blue Whale.
Farsi pubblicità
Lenta.ru ha svelato un altro dei motivi per cui in Russia sono nati alcuni gruppi legati al suicidio. More Kitov, creatore della community «Sea of Whales», ha dichiarato che gli amministratori del gruppo non avevano nessuna intenzione di spingere i ragazzi al suicidio, cercavano solo di far decollare le proprie pagine. Anche Filip Lis, amministratore della pagina f57, cercava solo un modo per creare velocemente un gruppo con molti iscritti. Del resto in VKontakte, proprio come su Facebook, le pagine molto seguite hanno un grande valore commerciale. E proprio come nascono pagine fan subito dopo la morte di una persona famosa, così Kitov aveva intercettato questa leggenda metropolitana, ne aveva compreso il valore e aveva utilizzato i simboli di riferimento, comprese foto e documenti che sarebbero appartenuti alla Palenkova, per creare pagine da rivendere a miglior offerente.
I suicidi in Russia
Ma come mai la Russia si è dimostrata un terreno fertile per Blue Whale, tanto da generare imitatori che, forse, ne sono rimasti tanto affascinati da utilizzarla come ispirazione per fare o farsi del male? Innanzitutto un dato importante: secondo i dati ufficiali russi il 62% dei suicidi giovanili avvengono per conflitti con membri della famiglia, amici, insegnanti, insofferenza all’indifferenza altrui o paura di violenza da parte degli adulti. Se analizziamo meglio i dati, il tasso generale di suicidi in questo Paese decresce, ma con una forte impennata di quelli giovanili, con un picco nel 2013 di 461 casi. Questo non vuol dire che Blue Whale si una cosa nata in Russia, ma lì il suo mito ha senza dubbio trovato il terreno di coltura adatto per impiantare delle suggestioni, seppure alimentate da motivazioni spesso più profonde.
Philip Budeikin
Ogni mitologia per alimentarsi ha bisogno di un mito, come Rina Palenkova, ma anche di un cattivo. In questo caso parliamo di Philip Budeikin, un ragazzo arrestato nel 2016 che ha confessato di aver spinto al suicidio persone che riteneva «rifiuti biologici». La sua intervista risale all’anno scorso, il motivo per cui questa notizia sia spuntata fuori oggi come se fosse recente è legato ai meccanismi «virali» dell’informazione moderna che rende importanti avvenimenti dopo molti mesi solo perché un media si accorge improvvisamente che esistono e cerca di sfruttarne la morbosità e la carenza di fonti verificabili per costruirci una bella storia. Budeikin ha dichiarato di aver spinto al suicidio 17 persone e che f57 non ha alcun significato nascosto, sono semplicemente la prima lettera del suo nome e le ultime due del suo numero di telefono. Al momento accertare la veridicità della vicenda e l’eventuale svolgimento di un processo a carico di Budelkin non è facile, ciò che è certo è che la notizia non è di queste ore.
In conclusione
La vicenda Blue Whale è il classico esempio di quanto la cautela sia necessaria nel riportare una notizia presa dal Web. Le fonti sono spesso confuse, contraddittorie o volutamente criptiche perché fanno parte di un gioco e di una sottocultura volta a creare un alone di mistero attorno a qualcosa che ha basi molto meno solide di quanto pensiamo, in cui una vera tragedia può confondersi con una foto piena di sangue finto. La parte più surreale della vicenda è come da una leggenda metropolitana si sia passati allo sfruttamento commerciale, rendendo verità un mito di Internet e portando i media di tutta Europa a parlare di un presunta nuova moda tra i giovani. D’altronde le caratteristiche c’erano tutte: disagio giovanile, l’Internet cattiva, notizie difficili da verificare. La verità molto probabilmente è che in Blue Whale c’è molto meno di ciò che siamo portati a credere.