Fonte:
La Repubblica edizione di Torino
Autore:
Stefano Parola
Sessanta accademici contro Technion
Domani il Senato accademico dell’Università di Torino dovrà affrontare una discussione scomoda: tagliare i ponti con il Technion di Haifa oppure no? Due settimane fa il Consiglio degli studenti, che riunisce tutti i rappresentanti degli allievi dell’ateneo, ha approvato una mozione in cui chiede al rettore di «recedere dagli accordi attualmente in vigore» con la scuola tecnologica israeliana, accusata di sviluppare tecnologie che nuocciono ai palestinesi.
Difficile, se non impossibile, che la maggioranza dei senatori scelga la strada della rottura. I tre progetti di collaborazione tra Università e Technion riguardano coltivazioni di pomodori, lotta al cancro e diagnosi mediche, dunque nulla a che vedere con le armi. Ma la mobilitazione cresce: in queste ore arriverà una lettera firmata da una sessantina di accademici torinesi in appoggio alla mozione degli studenti, che a loro volta hanno organizzato anche un presidio di protesta.
È l’ultima tappa di una querelle iniziata oltre un anno fa, quando in Italia è partita una campagna di boicottaggio nei confronti dell’ateneo di Haifa, accusato di sviluppare tecnologie che nuocerebbero ai palestinesi. L’appello anti Technion fu appoggiato da 350 tra professori, ricercatori e dottorandi (dunque una piccola parte della comunità universitaria italiana, che conta oltre 50 mila docenti) ed ebbe un certo clamore mediatico. Poi la battaglia si spostò a livello dei singoli atenei.
In quello torinese, l’ultimo strappo è avvenuto il 1 marzo, quando il Consiglio degli studenti ha approvato con 16 voti a favore e cinque contrari una mozione ispirata dai militanti dell’organizzazione “Progetto Palestina”, che raccoglie diversi movimenti di allievi dell’Università di Torino. In questo modo, per la prima volta un organo ufficiale di ateneo ( pur con poteri limitati ) ha formalmente appoggiato il boicottaggio. Come da prassi, domani quella mozione dovrà essere discussa in Senato accademico. «Mi aspetto che ne nasca un confronto approfondito, che parta però dalla consapevolezza del fatto che il nostro organo si è espresso in modo molto chiaro», evidenzia Irene Raverta, la presidente del Consiglio degli studenti.
II rettore Gianmaria Ajani ha già spiegato più volte che i progetti messi in piedi tra l’Università di Torino e il Technion non hanno alcuna ricaduta militare. Lo ha ribadito di recente anche il vicerettore alla Ricerca, Federico Bussolino, che ha a sua volta escluso «che ci siano rapporti legati alla produzione di armamenti». Nello specifico, i ricercatori torinesi e i loro colleghi di Haifa lavorano a progetti che studiano come far crescere i pomodori nonostante la siccità, come combattere il cancro e come migliorare le tecniche di analisi medica. Ma la campagna di boicottaggio mira a isolare il Technion, per questo gli attivisti di Progetto Palestina puntano comunque a far saltare l’intesa. Non sono soli, perché in queste ore verrà lanciata una lettera di appoggio alla mozione del Consiglio degli studenti, firmata grosso modo dagli stessi accademici che già avevano aderito all’appello di un anno fa. Ai tempi, si contavano 62 torinesi, tra i quali c’erano lo storico Angelo D’Orsi e il docente del Politecnico Massimo Zucchetti. Mentre il Senato accademico discuterà se tagliare o no i ponti con Haifa, fuori gli “Studenti contro il Technion” terranno un presidio, nel cortile del Rettorato, per rilanciare il loro messaggio: «Non vogliamo che il nostro sapere collabori con le ingiustizie e con l’oppressione».