Fonte:
Moked.it
Autore:
Lisa Billig
BDS, le parole dell’odio
Chi tra noi spera sinceramente in un futuro di pace per il Medio Oriente si sente obbligato ad agire per cercare di ottenere quel risultato. E siccome le mostruose violazioni dei diritti umani che avvengono in Siria, in Iraq, in Egitto, in Iran ecc. sembrano essere troppe, troppo abnormi, troppo devastanti per essere contrastate efficacemente, allora ecco che l’attenzione si rivolge all’unico Paese nel quale è possibile appellarsi impunemente alla libertà di parola, alla democrazia ed ai diritti umani a sostegno delle battaglie etiche e morali.
Ciononostante, nel conflitto senza fine tra israeliani e palestinesi, la comunità internazionale non è riuscita a diventare o a essere considerata come un intermediario onesto da entrambe le parti in causa. Mentre le grandi diplomazie internazionali – come le Nazioni Unite, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Regno Unito, e la Francia sola – intervengono, si inventano iniziative e aderiscono a parole ad una pace negoziata, continuano a susseguirsi tentativi falliti di portare avanti un processo di pace. A contribuire a questa escalation di sforzi inutili ci si mettono anche le operazioni di marketing contro Israele che si svolgono in varie città europee sponsorizzate da attivisti pro-palestinesi e anti-israeliani, tra cui la “Settimana dell’Apartheid” internazionale contro Israele, giunta alla 12esima edizione, che ha avuto luogo in questi giorni in varie città del mondo. Il nome della manifestazione – una plateale bugia – è un maldestro tentativo di creare un parallelo con il Sudafrica di anni addietro.
Eppure anche l’osservatore più superficiale dovrebbe ammettere che non c’è nessun “apartheid” in Israele. I cittadini arabi di Israele (che sono storicamente parte del popolo palestinese) siedono nel parlamento Israeliano, e sono presenti in ogni aspetto della vita pubblica del Paese. Sono stati in passato e sono ancora deputati alla Knesset, sindaci di città e paesi, ambasciatori e funzionari nella diplomazia internazionale, studenti e professori nelle università, imprenditori e soci di aziende assieme ad israeliani ebrei, ecc. E va ricordato anche che un giudice arabo israeliano è stato recentemente eletto a membro della Corte Suprema israeliana.
Una conferenza intitolata “Gaza: rompiamo l’assedio” è stata giustamente cancellata dal Comune di Roma dopo che questo aveva per errore concesso i propri spazi per lo svolgimento della manifestazione. La città di Roma non può diventare complice di eventi bellicosi unilaterali, messi in piedi da sponsor privati e che servono solo a soffiare sul fuoco dell’odio invece di lavorare per una comprensione profonda e a mediare per una giusta soluzione. La “Settimana dell’Apartheid”, dal 27 febbraio al 3 marzo, ha ospitato 30 eventi in 7 città: Bologna, Cagliari, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste. Una settimana espressione del movimento “BDS” (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), concepito in origine come opposizione non violenta alla “occupazione”, e che vide addirittura il sostegno di alcuni ebrei e israeliani di Sinistra. Era una azione contro la vendita di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi (azione che tra l’altro penalizzava anche i lavoratori palestinesi impiegati in quelle attività!), ma nella sua espansione, è stata utilizzata anche per sostenere il rifiuto all’esistenza di Israele, scivolando in un latente antisemitismo nei campus universitari. Il tentativo assurdo di censurare e boicottare studiosi israeliani della Technion, dell’Università di Tel Aviv, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, ecc. non è solo un gesto antidemocratico e ottusamente anti-intellettuale, ma è anche auto-penalizzante, visto che proprio queste persone rappresentano le voci più aperte e liberali della società israeliana, arabi (palestinesi) israeliani inclusi. La cosa ancora più assurda è che se i prodotti, la scienza e l’arte israeliana venissero seriamente messi al bando, allora gran parte dei passi avanti compiuti nella tecnologia, nella medicina, e contenuti negli oggetti di utilizzo quotidiano, che hanno al loro interno componenti essenziali inventati e prodotti in Israele, dovrebbero essere gettati via. Bisogna dar credito al Presidente Mattarella, ai molti rettori delle Università italiane ed ai Sindaci delle città che si sono opposti senza i minimi dubbi (uno fra tanti Piero Fassino, l’ex Sindaco di Torino che in molte occasioni ha insistito fermamente che la sua città rimanesse libera da questi eventi faziosi), e anche alla maggioranza degli studenti, grazie ai quali il movimento BDS non ha ben preso piede in Italia.
E veniamo a Gaza: la maggior parte dei fattori che continuano a ostacolare la risoluzione della dolorosa questione sono dovuti ai palestinesi stessi. Israele si è ritirata unilateralmente da Gaza dodici anni fa; Israele ha ceduto il controllo di Gaza all’Autorità Palestinese dodici anni fa. Ma neanche un anno dopo, Hamas prese il potere su tutte le organizzazioni di Gaza dopo un golpe violento contro l’AP. Non è un segreto che l’enorme flusso di investimenti provenienti dalla UE, dall’ONU, dagli Stati Arabi e dalle NGO internazionali verso Gaza, che dovrebbero servire a migliorare la vita dei civili palestinesi, viene largamente dirottato, se non quando nelle tasche di pochi, per l’acquisizione di materiali necessari a costruire missili e tunnel che vengono poi utilizzati da Hamas per attaccare i cittadini israeliani.
È comprensibile che molti abbiano a cuore la causa palestinese, ma i donatori internazionali peccano di grave mancanza di responsabilità quando si rifiutano di chiedere alle autorità palestinesi informazioni su chi riceve e gestisce le tanto generose donazioni ricevute. Nel cercare le responsabilità per la sofferenza del popolo di Gaza, gli organizzatori della “Settimana dell’Apartheid” e del movimento “BDS” puntano il dito solo su Israele e sugli insediamenti in particolare, ignorando completamente il ruolo spaventoso giocato dallo spietato governo di Hamas, una dittatura che tortura e uccide i nemici al suo interno e che giustizia senza processo i membri del popolo palestinese accusati di tradimento.
E riguardo gli ostacoli ad una pace negoziata, la comunità internazionale è totalmente incapace di affrontare il problema di riuscire a trovare nel popolo palestinese un interlocutore credibile che possa garantire in maniera convincente anche per il governo di Hamas a Gaza, che non ha mai cancellato dal proprio statuto lo scopo di “liberare” il territorio da tutti gli ebrei e di annientare Israele. Abu Abbas è veramente capace di ergersi a garante per o contro Hamas?
Certo, la costruzione di nuovi insediamenti non ci avvicina ad una soluzione del conflitto, ma bisogna anche ammettere che non è questo il problema principale. Il problema principale è che Gaza, governata col pugno di ferro di Hamas, è un territorio dove i diritti umani, l’eguaglianza e la libertà in tutti i loro aspetti così come li concepiscono i sistemi democratici, sono inesistenti; e che la coesistenza a fianco allo Stato Ebraico non è parte delle visioni possibili. Due democrazie che possano vivere fianco a fianco con il sostegno degli Stati limitrofi e della comunità internazionale sarebbero la soluzione ideale. Ma per raggiungere questo scopo, è necessaria una calma diplomazia che operi dietro le quinte per un negoziato faccia a faccia tra le due parti, condotto da portavoce credibili e supportato da una comunità internazionale che possa disfarsi del cieco pregiudizio contro Israele e che affronti la complessa realtà, così ovvia ad un osservatore imparziale e informato.
Ci sarebbe bisogno di uno sforzo coordinato internazionale per riportare le due parti al tavolo dei negoziati abbandonato dai palestinesi nel 2014, invece di fomentare l’odio con azioni unilaterali dirette contro Israele, che non fanno altro che aumentare l’animosità, invece di avvicinare alla mediazione.