Fonte:
La Stampa Origami
Autore:
David Bidussa
Le identità non si costruiscono sui falsi miti
La risoluzione dell’Unesco su Gerusalemme e la decisione del governo austriaco di abbattere la casa natale di Hitler, sono due notizie che hanno avuto impatto diverso nell’opinione pubblica Molto discussa la prima, meno la seconda. Entrambe indicano una condizione culturale diffusa che caratterizza il nostro tempo: come affrontare il legame tra presente e passato. Consideriamo la prima La risoluzione dell’Unesco su Gerusalemme, adottata lo scorso 18 ottobre usando solo il nome islamico per riferirsi al complesso della moschea di Al-Aqsa e ignorando completamente il termine ebraico Monte del Tempio fa una scelta di lettura che riguarda una parte del tempo presente, ma che di fatto riordina il passato, lo rilegge, e vieta di misurarcisi La questione dei nomi non è neutra. I nomi contengono storia. Eliminarli equivale a togliere pezzi di storia. L’identità culturale degli ebrei, indipendentemente che siano israeliani o no, ha un rapporto diretto con quello spazio. In quel luogo eliminare il nome o tradurlo in un’altra lingua, significa non riconoscere un legame tra il presente e un passato. Quello spazio nella cultura ebraica non è solo geografia. Non è un nome indifferente. È un pezzo di storia, della propria storia. Per di più è un pezzo rilevante di una pratica religiosa che su quello spazio ha costruito e ancora riconosce un segmento non irrilevante della propria identità culturale. Un valore simbolico, è bene non dimenticarlo, che è anche una replica all’impossibilità di accedervi fino al 1967, quando Gerusalemme Est era ancora parte del Regno di Giordania. Da allora ritornare a frequentare quello spazio ha voluto dire riappropriarsi di un luogo interdetto. E dare nomi a cose che si pensavano non più raggiungibili, frequentabili. Nomi dunque che rinviano a luoghi. E che producono nel tempo identità. Una “political correctness” dei nomi non ha nessuna possibilità di successo di risolvere il problema. Ne ha invece moltissimo nell’esasperarlo. Consideriamo la seconda La decisione da parte del governo austriaco di radere al suolo la casa natale di Hitler a Braunau am Inn ha l’obiettivo di evitare che la casa divenga un luogo di pellegrinaggio dei nostalgici del Terzo Reich. Credo che l’effetto sarà l’opposto. Quel luogo diventerà un luogo sacro, forse anche in forza del vuoto che si determinerà. E questo perché la possibilità di trasformare una passione in una di segno contrario è solo conseguenza di una politica culturale e non di un decreto che interdice luoghi. Ciò che impedisce che la casa del partito nazista a Monaco di Baviera non sia un luogo di culto non è il fatto che quel palazzo è oggi la sede del Museo storico del nazismo, ma è l’effetto della politica culturale che in quel luogo si fa e che, più in generale, la Germania ha sviluppato nel secondo dopoguerra Una politica che muove dal presente e rilegge un passato che né lo mette fuorilegge né lo incensa ma fornisce strumenti, procedure, opportunità per fare intraprendere un percorso di crescita. La scelta del governo di Vienna, come già a metà degli Anni ’80, indica che l’Austria ancora continua a non farei conti col suo passato perché la carta che adotta la retorica dell’identità Significa prestare attenzione al presente, rifiutare il confronto con quel passato, meglio con il proprio passato reale, e costruirne uno falso su cui dare forma a un’idea mitologica di identità L’identità non è un prodotto chiuso e finito, è invece il risultato complesso, altamente conflittuale di abbandoni, di prestiti e di rifiuti e di scelte, talvolta anche molto sofferte. Consiste nell’intraprendere un percorso laico, plurale, inquieto nei confronti della propria storia. Per un paradosso sembra quel percorso lo si chieda ai sistemi di fede e non alle ideologie politiche. In tutti e due i casi ci costruiamo un’immagine del presente che fa finta di rendere giustizia a un passato. In realtà sceglie quello con cui, in quel momento, è più conveniente venire a patti.