19 Ottobre 2016

Commento dell’esperto Giovanni Quer alla risoluzione Unesco contro Israele

Fonte:

Informazione Corretta

Autore:

Giovanni Quer

Unesco: quando è la politica a decidere la storia: cosa dice la stampa araba

La risoluzione dell’Unesco non è stata modificata: Gerusalemme, Betlemme e Hebron diventano principalmente islamiche. La risoluzione che era passata alla prima votazione non è stata cambiata non ostante il tentativo del Messico di cambiare idea, scoraggiato dai Paesi occidentali che temono un precedente pericoloso per altri casi (la Crimea per esempio). Gli unici Stati che hanno votato contro la risoluzione sono: Germania, Estonia, Stati Uniti, Lituania, Olanda e Regno Unito. Altri amici di Israele, comprese l’Italia, la Francia e il Kenya, si sono astenuti.

Il blocco arabo-islamico e dei non-allineati ha votato a favore. L’ambasciatore del Messico era uscito in protesta alla votazione la settimana scorsa a Parigi – mentre il governo lo accusa di non aver fatto il proprio dovere nello spiegare bene quali fossero i risvolti della decisione, che la comunità ebraica messicana aveva elucidato per impedire una presa di posizione anti-israeliana. Il Brasile ha votato a favore, ma ieri ha espresso riserve sui risvolti politici della risoluzione. Una lunga lista di condanne a Israele, tra cui: gli arresti dei fedeli musulmani e le limitazioni di accesso alla moschea di al-Aqsa, le provocazioni degli ebrei di estrema destra che manifestano sulla Spianata delle Moschee, i danni ai luoghi sacri dovuti agli interventi della polizia, le limitazioni all’amministrazione delle autorità giordane, gli scavi archeologici che snaturano il luogo, la creazione di un ulteriore luogo di preghiera per ebrei, la creazione di un ascensore per l’accesso alla Spianata, i lavori per la creazione di una funivia che colleghi il quartiere arabo di Silwan alla città vecchia. È interessante che nessuna dichiarazione parli dei danni, delle provocazioni, degli scontri causati dal gruppo (messo l’anno scorso fuori legge) “murabitat” e “murabitun” (le difensore e i difensori della fede), creato nel 2012 da movimento islamico per “proteggere” la Spianata delle Moschee da elementi impuri (infedeli, e in particolare ebrei), causando scontri violenti con la polizia.

La difesa di al-Aqsa è stata al centro della propaganda politica del movimento islamico di Israele sin dalla famosa “camminata di Sharon” sulla Spianata, in occasione della quale la propaganda islamica ha scatenato una serie di violenze poi sfociare nella Seconda Intifada. La propaganda di difesa di al-Aqsa è anche alla base delle recenti ondate di terrorismo. Ancora condanne per lavori e scavi e trattamento dei fedeli misurano da parte delle autorità israeliane a Bethlehem e Hebron. Tutti i nomi di luoghi e città riportano prima la dicitura arabo-islamica e poi quella inglese (che deriva dall’ebraico). Così Buraq Plaza/Western Wall; al-Khalil/Hebron; al-Aqsa Mosque/al-Haram al-Sharif rimane solo in arabo (il Monte del Tempio non è citato), al-Haram al-Ibrahimi Mosque/Tomb of the Patriarchs (Tomba dei Patriarchi a Hebron); Bilal Ibn Rabah Mosque/Rachel’s Tomb (Tomba di Rachele).

La doppia dicitura che vorrebbe essere un tocco di politicamente corretto non fa che consolidare invece la supremazia islamica su tutti i luoghi citati – il cui accesso è garantito egualmente a ebrei e musulmani solo dal 1967, ossia da quando Israele ha controllo di tutti i luoghi sacri. L’identità ebraica di Gerusalemme e degli altri luoghi è quasi incidentale, secondaria, fittizia. Nonostante in due occasioni si citi anche l’importanza del Cristianesimo e dell’ebraismo, il testo della risoluzione è una “battaglia” tra Islam ed ebraismo, in cui l’Islam risulta vincitore. L’ostinata opposizione agli scavi archeologici a Gerusalemme, Hebron e Betlemme è un’altra conferma della volontà di tenere nascosto il passato. La risoluzione è poi politica perché serve solo a ripetere le medesime condanne che si sentono in altri consessi internazionali. Israele è una “forza occupante”. Parte della risoluzione condanna Israele per le politiche a Gaza (che ben poco hanno a che fare con il mandato dell’UNESCO), per gli attacchi alle scuole, per l’alto numero di vittime frai bambini di Gaza e per la costruzione di strade solo per i coloni che abitano vicino a Hebron.

La stampa palestinese loda la decisione dell’UNESCO, sostenendo che finalmente l’identità islamica di Gerusalemme è stata stabilita contro i tentativi dell’occupazione israeliana di snaturarla e di attaccare la Moschea di Al-Aqsa sull’onda di una stampa estremista (al-Hayat al-Jadida). Il quotidiano al-Quds mostra in una caricatura un rapace con una stella di David che tiene tra le punte del becco l’UNESCO mentre ingoia al-Aqsa. In un lungo articolo pubblicato su Denia al-Watan si percepisce un clima di tanto attesa vittoria: la risoluzione dell’UNESCO “rivela le falsità della narrativa israeliana che per decenni ha ingannato l’opinione pubblica internazionale.

L’articolo prosegue poi con la storia dei presunti attacchi dell’occupazione israeliana ad al-Aqsa che fanno parte della percezione storica palestinese e araba su Israele e l’amministrazione dei luoghi sacri. Israele avrebbe bruciato la Moschea nel 1969, gli scavi sotto la Moschea intensificatisi negli anni ’90, la camminata di Ariel Sharon nel 2000 che ha iniziato una campagna dei governi israeliani che incita estremisti ebrei a invadere la Spianata. In articolo apparso su al-Manar, Ahmed al-Dabashan spiega come la risoluzione dell’UNESCO sia importante per ristabilire la verità storica su Gerusalemme e un passo fondamentale per porre fine all’occupazione. Dabashan spiega che Israele fonda le proprie richieste su un legame storico con Gerusalemme e la Palestina basato sulla Bibbia, ma, sostiene l’autore, non ci sono prove storiche né archeologiche che il Re David o il Re Salomone siano mai esistiti e così nemmeno il tempio. Pertanto la risoluzione ha un valore politico di estrema importanza perché nega le invenzioni storiche israeliane che sono alla base del processo storico che ha portato alla “rifondazione” dello Stato di Israele.

Questo ultimo articolo delucida il valore della risoluzione dell’UNESCO, criticata dalla stessa Direttrice Generale Irina Bukova, che, secondo l’Ambasciatrice israeliana Carmel Shama ha-Cohen avrebbe ricevuto anche minacce di morte per aver espressione riserve e critiche sulla negazione dell’identità ebraica di Gerusalemme. Non si tratta solo di una lista di condanne contro Israele per le sue presunte violazioni sulla manutenzione dei luoghi sacri. Si tratta invece di un processo internazionale in cui la narrativa storica israeliana ed ebraica sono gli imputati, puntualmente perdenti.

Non è solo l’organizzazione che si è prestata a un gioco politico che mira a “espellere” Israele dalla storia, ma anche gli Stati che hanno preferito astenersi. Tra questi, Italia, Francia, Svezia, Ucraina, Grecia, Spagna, Kenya, Slovenia, Giappone e India avrebbero tutto l’interesse a sostenere Israele non solo per vicinanza diplomatica ma anche per impedire che un tale precedente possa giocare contro le narrative storiche dei diversi Paesi. Un simile precedente non pone fine alla miriade di iniziative politiche che per perseguire un interesse particolare possono riscrivere la storia sfruttando maggioranze ideologiche nelle organizzazioni internazionali. Immaginiamo che la Catalogna convinca una serie di Paesi a votare una risoluzione che sostenga le aspirazioni secessioniste, o simili iniziative per quanto riguarda l’Ucraina, l’Italia, i miti nazional-religiosi giapponesi che fondano l’Impero, l’idea di Slovenia o di Kenya. Immaginiamo che una risoluzione confermi l’appartenenza storica di Malta, della Sicilia e dell’Andalusia al mondo arabo e condanni Italia, Spagna e Malta per aver tentato di cancellare l’identità di al-Siqiliya e al-Andalus. Immaginiamo che le maggioranze automatiche siano sfruttate per altri interessi secessionisti o espansionisti di Russia, Iran, India, Pakistan, Sri Lanka, Ucraina, Polonia, Ungheria, Romania e mille altri Paesi e conflitti. In ogni conflitto ci sono “versioni storiche” diverse che hanno spesso fini politici diversi.

La versione italiana della Prima Guerra Mondiale è diversa da quella austriaca. La versione inglese è diversa da quella irlandese. La versione della Seconda Guerra Mondiale polacca differisce non poco da quella ucraina. Ma come può contribuire l’UNESCO alla pace nel mondo e alla preservazione dei “patrimoni dell’umanità” se diventa una piattaforma per conflitti politici cui subordina la storia e la cultura? Facciamo alcuni paralleli. Ci immaginiamo una risoluzione che parli di Lwow/Lviv o di altre città che ora sono in Ucraina secondo il loro nome polacco e che definisca la loro natura precipuamente polacca negando l’identità ucraina? Ci immaginiamo una risoluzione che parli dell’identità prevalentemente ungherese della Transilvania e neghi il legame storico alla Romania? Ci immaginiamo una risoluzione che neghi l’identità slovacca e dichiari che il territorio ha un carattere culturale e storico esclusivamente magiaro? L’UNESCO ha fallito nella sua missione, contribuendo all’esacerbarsi del conflitto arabo-israeliano e quel che è più preoccupante è che in pochi si siano opposti alla risoluzione. Il dirottamento politico della storia e dell’eredità culturale colpisce oggi Israele, ma domani potrà colpire qualsiasi altro Paese, riaccendendo conflitti, esasperando estremismi e legittimando la chiamata alle armi dei revanscisti.

Il silenzio del mondo occidentale si accompagna al silenzio del mondo cristiano, che dovrebbe essere egualmente preoccupato per l’iniziativa del blocco arabo-islamico. Benché molte personalità cristiane palestinesi e internazionali appoggino le iniziative dell’Autorità Palestinese – non molti mesi fa il leader greco-ortodosso Atalla Hanna aveva dichiarato che la difesa di al-Aqsa è un interesse tanto islamico quanto cristiano – il processo politico di riscrittura della storia si può ritorcere contro il cristianesimo in ogni istante e i segnali già ci sono – la moschea costruita di fronte alla Chiesa della Natività a Betlemme, gli striscioni che negano la veridicità della fede cristiana a Gerusalemme sulla via che porta al Santo Sepolcro e a Nazareth, l’islamizzazione di Gesù e di Maria. L’attivismo politico pro-palestinese pagherà un grosso prezzo per la cecità storica e politica. Così anche le politiche basate su interessi di breve termine e derivanti troppo spesso da un atteggiamento di sottovalutazione se non di irrisione dell’importanza delle idee e della storia.