Fonte:
la Stampa
Autore:
Lorenzo Vidino
Una guerra fratricida esportata in Occidente
Gli attacchi di 15 anni fa catapultarono l’Occidente in un conflitto che tutt’oggi viviamo. Ma pochi sapevano allora, o comprendono tutt’oggi, che quel conflitto non è iniziato in quel tragico giorno di settembre; che non è l’appendice moderna degli scontri secolari tra Islam e cristianità, come i sostenitori del conflitto di civiltà ritengono, né una ribellione delle parti povere del mondo contro il ricco Occidente, come altri credono. È invece l’espansione di un conflitto che da circa un secolo infiamma il mondo islamico in generale e arabo in particolare. Una vera e propria guerra civile interna alle società islamiche che vede opposti i vari poteri forti, siano essi monarchie o regimi laici, contro forze islamiste che vedono in uno stato teocratico in cui i dettami della sharia sono applicati alla lettera l’unica soluzione ai problemi che da secoli attanagliano la gloriosa civiltà islamica e che l’hanno portata ad uno stato di inferiorità economica e militare nei confronti dell’Occidente. Questo conflitto interno inizia negli Anni 20 con la nascita dei Fratelli Musulmani, il primo gruppo islamista organizzato, ma prende una deriva violenta a partire dagli Anni 70, quando vari regimi arabi reprimono nel sangue qualsiasi forma di opposizione islamista. Inizia allora l’era del terrorismo islamista, i cui primi obiettivi sono i regimi islamici (ben importante quindi distinguere tra islamici e islamisti). Una ribellione armata in Siria negli Anni 80, ondate di attentati in Egitto e una vera e propria guerra civile in Algeria negli Anni 90 vedono comunque i regimi arabi, corrotti e dispotici, sopravvivere e stringere ancor di più il giogo. È in quel momento che entra in scena il genio di Al Qaeda, con le sue due innovazioni. In primis, la creazione di un movimento jihadista transnazionale in cui gruppi provenienti da vari Paesi agiscono a livello locale ma pensano in maniera globale, interagendo tra di loro. La secondo è il cambio di obiettivo dal «nemico vicino» al «nemico lontano»: bin Laden e i suoi capiscono che i regimi arabi, il nemico vicino, sopravvivono grazie al supporto politico, economico e militare del «nemico lontano», cioè l’Occidente e l’America in particolare. Il momento in cui il terrorismo va a rendere quel supporto troppo oneroso, calcola il miliardario saudita, l’Occidente si ritirerà e i vari gruppi jihadisti potranno finalmente installare regimi teocratici al posto dei corrotti regimi locali. L’11 settembre è il culmine di questa strategia, che però porta ad un ancor maggiore coinvolgimento americano nella regione. E se l’intervento in Afghanistan priva Al Qaeda del suo santuario, la sciagurata invasione dell’Iraq gliene regala uno nuovo. Sono gli anni della Guerra al Terrorismo, che pare terminare con la scorsa decade. L’elezione di Obama, l’uccisione di bin Laden e le primavere arabe fanno pensare che la parabola jihadista sia sul calare. È però proprio il fallimento delle primavere arabe che porta ad una forte quanto inaspettata rinascita del movimento jihadista. È in particolare in Siria che una costola di Al Qaeda spunta come la più agguerrita tra le centinaia di fazioni che combattono il regime di Bashar al Assad. Cosi nel giugno 2014 nasce lo Stato Islamico in Iraq e Siria (Isis), che dichiara un califfato nelle terre che ha conquistato ed espande la propria influenza in «province» autoproclamate in giro per il mondo. Lo Stato Islamico, sfruttando il caos politico e le tensioni settarie del mondo arabo e, al tempo stesso, le titubanze della comunità internazionale, riesce dove Al Qaeda non poteva neanche sognare: non più cellule terroristiche che si nascondono nel buio ma il controllo su un territorio grande quanto la Francia, con ministeri, tribunali e organi stampa. Lo Stato Islamico sovrasta Al Qaeda anche sotto altri aspetti. Quello mediatico: non più i filmati statici con le filippiche teologiche di bin Laden ma immagini coreografate più simili a videogiochi o video musicali, decine di migliaia di account sui social media in dozzine di lingue, riviste patinate. Non c’è perciò da stupirsi se il messaggio o, più spesso, l’immagine dello Stato Islamico abbia attratto decine di migliaia di giovani da tutto il mondo (inclusi circa 8000 da Paesi occidentali). Il progetto statuale non ha però impedito allo Stato Islamico di dedicarsi all’arte che ha reso famosa Al Qaeda: il terrorismo. Siano essi attacchi organizzati direttamente (come quelli di Parigi o Bruxelles), ispirati (come quelli di Dacca), o compiuti da spostati indipendenti ed opportunisticamente appropriati dallo Stato Islamico, il gruppo ha portato il suo marchio in tutto il mondo. Difficile dire se saremo ancora a parlare di Al Qaeda e Stato Islamico fra 15 anni. I gruppi vanno e vengono ed è possibile che entrambi vengano annientati. Ma entrambi sono solo due incarnazioni di un’ideologia, quella jihadista, che difficilmente sparirà nei prossimi anni.