Fonte:
La Repubblica
Autore:
Anais Ginori
Nella Marsiglia del kippah-pride “Chi ci minaccia non l’avrà vinta”
Marsiglia. Daniel arriva davanti alla sinagoga di rue Breteuil all’ora del tramonto, quando appare la terza stella e finisce lo shabbat. Lega la bicicletta a un palo, si mette una mano nel giaccone, estrae la kippah e se la mette in testa per percorrere i pochi metri che lo separano dal cancello d’ingresso. Non bisogna dargliela vinta., spiega. Quarant’anni, piuttosto in carne, professione geometra. Tira dritto senza badare ai militari di guardia. «Tanto se vogliono, sanno dove trovarci» aggiunge con un tono che mischia coraggio a fatalismo. Rue Suffren, la strada che attraversa il quartiere ebraico, lentamente si anima bar e ristoranti riaprono per il sabato sera, qualche locale ha deciso di fare una serata kippah. «Ci sono anche non ebrei che sono venuti per solidarietà» racconta Gilbert, il gestore della pizzeria Kikar. Tutti aspettano con ansia la partita di mercoledì, Olympique Marseille-Montpellier. calciatori e tifosi indosseranno il copricapo. «Dobbiamo essere prudenti, ma non è nascondendoci che vinceremo il terrorismo» spiega Ha-bay Sobol, presidente del centro culturale Fleg che ha in cartellone il concerto del gruppo JazzPora. Alla fine Zvi Ammar è andato in sinagoga senza rinunciare allo zucchetto ebraico. È il presidente del Concistoro israelita che ha provocato il kippah-pride. « Hanno chiamato da tutta la Francia, da Stati Uniti e Brasile» racconta nel suo ufficio di rue Breteuil, insegne sul citofono discrete. Dopo il suo appello « a nascondersi un po’» e non indossare la kippah per non trasformarsi in obiettivi mobili dei jihadisti, Ammar è stato travolto dalle critiche. Il Concistoro nazionale lo ha smentito, così come il gran rabbino di Francia, Haim Korsia. Anche il governo e il presidente François Hollande si sono schierati per la libertà di culto. «Ho provocato un elettroshock» dice Ammar, 58 anni, manager nell’import-export «Se non avessi parlato con il cuore saremmo rimasti nell’indifferenza generale.» II quartiere ebraico di rue Suffren è vicino alla kasbah di place Castellane. La città portuale è da sempre esempio di convivenza e tolleranza tra cristiani, ebrei e musulmani. La comunita ebraica rappresenta quasi il 10 per cento della popolazione ed è una delle più grandi e antiche d’Europa, dopo Parigi e Londra. Un modello che ha resistito alle scosse del tempo. II recente esodo di tanti ebrei francesi partiti per Israele a Marsiglia non c’è stato, o quasi «Quando sono arrivato al Concistoro, quindici anni fa, c’erano 24 sinagoghe, ora ne abbiamo 58» spiega ancora Ammar. Qualcosa però sta cambiando, e in fretta. «II ministro Bernard Cazeneuve è venuto in sinagoga tre giorni fa – confessa – gli ho chiesto buone ragioni per convincere i miei correligionari a non fuggire dalla Francia». Negli ultimi mesi, la procura di Marsiglia ha aperto oltre settanta inchieste per atti di antisemitismo avvenuti in città. Non solo insulti e attacchi a simboli, ma aggressioni. Una settimana fa, Benjamin Amsalem stava entrando nella scuola La Source. Un ragazzino armato di machete ha colpito più volte l’insegnante di religione. Voleva decapitarmi racconta Amsalem che si è protetto con la Torah che teneva in mano. II giovane che compirà domani 16 anni, era un buon alunno a scuola, sconosciuto all’antiterrorismo. Fermato per miracolo da due passanti, ha rivendicato il suo attacco in nome di Daesh e ha confessato ai poliziotti che il suo unico rimpianto è non essere riuscito a uccidere l’insegnante. Amsalem non è andato in sinagoga ieri. Non riesce ancora a realizzare. «Sto cercando di capire come sia potuto succedere» racconta la vittima, 35 anni, padre di tre figli. «Mi perseguita lo sguardo di quel ragazzino. Era pieno di odio, disumanizzato. Vorrei capire perché». Il suo avvocato, Fabrice Labi, aveva difeso anche un insegnante della scuola ebraica di Tolosa, dove Mohammed Merah nel 2012 ha ucciso un maestro e due bambini. “All’epoca non c’era stata una vera presa di coscienza” ricorda il legale. Il paese aveva cercato di dimenticare la nuova barbarie. «Con gli attentati di gennaio e poi di novembre è diventato chiaro in quale epoca ormai viviamo.» Quando è ormai sera, Daniel esce dalla sinagoga. «La solidarietà ci fa bene, ma ci aspettiamo giorni migliori. Ne abbiamo diritto». Appena fuori dal cancello, saluta i soldati e si guarda intorno. Una, due volte. Poi si toglie la kippah.