Fonte:
la Repubblica
Autore:
Jodi Rudoren – Rami Mazzal
“Pugnala, pugnala” Il rap dell’Intifada divide i palestinesi
Ramallah. Gli adolescenti palestinesi che entrano nel negozio di musica “True Love” hanno tutti la stessa richiesta: vogliono canzoni militanti. Quelle nuove. Il proprietario ha venduto pile intere di cd come “Gerusalemme sanguina”, nel quale compare il brano “It’an, lean” ( “Pugnala, pugnala” ) con il suo martellante ritornello. «Quando ascolto queste canzoni mi sento ribollire dentro», dice Khader Abu Led, 15 anni, spiegando che questa musica lo aiuta a caricarsi in vista delle dimostrazioni in cui scaglia pietre contro i soldati israeliani. Ispirati dall’ondata di aggressioni e dagli scontri letali con le forze di sicurezza israeliane, i compositori della Cisgiordania occupata e di altri territori hanno iniziato a sfornare brani militanti spesso violenti. Condivisi su YouTube e Facebook, formano una colonna sonora dell’Intifada. In uno di essi si sente: «Pugnala il sionista e proclama che Dio è grande». In un altro: «Lascia che i coltelli infilzino il tuo nemico». Un terzo si intitola “Continua l’intifada”: in un filmato su YouTube si vede la giovane palestinese che ha estratto un coltello alla fermata dell’autobus di Mula e viene circondata da israeliani che le puntano contro le armi. La canzone incita a «opporre resistenza e armarsi, andando incontro al martirio». Adnan Balaweneh, autore di “Continua l’intifada”, dice: «Quando ho visto in tv i soldati aprire il fuoco contro la ragazza di Mula, ho sentito la necessità di scrivere un brano che fosse di ispirazione per l’intero popolo palestinese». La tradizione palestinese di brani musicali di protesta risale alle rivolte degli anni Trenta contro i britannici. Ma parecchi esperti di musica palestinese affermano che le dimensioni del fenomeno di questi giorni sono insolite, alimentate da social media sempre più a ruota libera. «Per me scagliare pietre nella prima intifada fu un modo per esprimermi», dice Ramzi Abu-redwan, fotografato nel 1988 mentre da bambino lanciava sassi. Oggi dirige alcune scuole di musica nei campi profughi palestinesi. «Nella prima intifada lo strumento furono le pietre. Oggi sono i brani musicali. Musica e parole riflettono la situazione che stiamo vivendo. Non sono capace di scrivere una canzone che parli di natura, di bellezza, di pace: ogni giorno vedo filmati con l’esecuzione di giovani». Basel Zayed, però, musicista e musicoterapeuta di Gerusalemme est, critica le parole delle canzoni che «non sono molto espressive, dato che ripetono per lo più gli stessi concetti: uccidi, colpisci, lancia bombe o fatti esplodere ». Online spuntano nuove canzoni quasi tutti i giorni: il video su YouTube per “L’intifada dei coltelli” è un collage nel quale si vedono la Cupola della Roccia in fiamme e un uomo con la kefiah: mette in mostra prima una fionda, poi un pugnale ricoperto di sangue. Poi c’è “Investi, investi il colono”, brano nato durante una serie di attentati in automobile, un anno fa. e ripostato il 10 ottobre col filmato di un incidente verificatosi lo stesso giorno in cui un palestinese sedicenne è stato ucciso dopo aver tagliato la gola a un israeliano a Gerusalemme. «Le nostre canzoni non incitano la gente a compiere aggressioni», dice Balaweneh che ha scritto ‘Continua l’intifada” e scrive per un gruppo di strumentisti dell’Autorità Palestinese. «Le nostre canzoni vogliono invitare il popolo a farsi avanti per i suoi diritti. Adesso, le nostre canzoni devono parlare di azione, così che il sangue ribolla nelle vene». Moltiplicatore di questa musica sono i social media, ma anche le radio e le tv palestinesi trasmettono queste canzoni. I cd sono quasi esauriti: si vendono a 10 shekel, circa 2,50 dollari, agli angoli delle strade di Ramallah e in negozi come “True Love”. Il proprietario, Abu Al Arayas, dice che prima gli chiedevano musica militante una volta al mese, mentre ora vende di continuo copie di “Gerusalemme sanguina”, sulla cui copertina la Cupola della Roccia, protetta da filo spinato, gronda sangue.
( 2015 New York Times News Service Traduzione di Anna Bissanti)