Fonte:
la Stampa
Autore:
Roberto Toscano
Se la Spagna si scusa con gli ebrei
Si pensa di solito che i grandi misfatti della storia siano irrimediabili, ed in effetti così è, se pensiamo alle vite stroncate, alle sofferenze, alle intere comunità eliminate dal genocidio o spinte con la violenza sulle strade dell’esilio. Eppure sarebbe sbagliato ignorare il valore morale del riconoscimento delle ingiustizie perpetrate anche quando il riconoscimento avviene da parte di chi in nessun modo ne potrebbe essere considerato responsabile. Non esiste certo una colpa collettiva, ma riconoscere l’ingiustizia commessa abbandonando il troppo diffuso e volgare giustificazionismo in chiave storica («erano altri tempi, vigevano altri principi») è un gesto nobile su cui sarebbe ingeneroso ironizzare.
Ieri le Cortes, la Camera dei deputati spagnola, hanno compiuto questo gesto riconoscendo ai discendenti degli ebrei espulsi nel 1492 il diritto ad ottenere la cittadinanza spagnola. Si trattò allora di una colossale ingiustizia, e anche di un segno di ottusità che oggi definiremmo «fondamentalista», se pensiamo che gli ebrei non solo facevano parte integrante della società spagnola, ma ad essa contribuivano in modo molto sostanziale sotto il profilo economico e intellettuale. Quelle centinaia di migliaia di ebrei lasciarono «Sefarad» e si dispersero in tutta l’Europa, soprattutto nell’Europa mediterranea e in particolare nell’Impero Ottomano. Si racconta che il Sultano dell’epoca esprimesse tutta la sua sorpresa: «Curiosi questi sovrani spagnoli. Impoveriscono il loro regno ed arricchiscono il mio».
Gli ebrei sefarditi si sono radicati in diverse realtà ma non hanno mai dimenticato la Spagna, spesso conservando quasi miracolosamente le loro tradizioni e soprattutto la lingua, il «ladino», uno spagnolo reso particolare dalle radici arcaiche e dalle influenze di altre lingue mediterranee. Dopo l’espulsione del 1492, la persecuzione degli ebrei rimasti in Spagna in quanto convertiti fu l’obiettivo principale dell’Inquisizione spagnola, alla caccia spietata di convertiti accusati di mantenere segretamente la loro fede e i loro riti. Quelli che erano definiti «judaizantes», o molto più brutalmente, «marranos» (porci).
Ma la storia del rapporto fra Spagna ed ebrei non si riduce soltanto all’ espulsione del 1492 e alla persecuzione dei convertiti. Quello che è interessante, e che non molti sanno, è che non solo i sefarditi non hanno mai dimenticato la Spagna, ma nemmeno la Spagna ha dimenticato i sefarditi. Non lo ha fatto per la consapevolezza – una consapevolezza che nemmeno il più radicato fanatismo religioso poteva cancellare – che anche loro erano Spagna, così come è Spagna l’eredità musulmana di Al-Andalus. Questo spiega perché durante la Seconda Guerra Mondiale i diplomatici della Spagna franchista abbiano in molti casi dato protezione agli ebrei, fra l’altro senza distinguere fra sefarditi e askenaziti, ebrei del Centro-Est Europa. Molto probabilmente in Franco, astuto opportunista, c’era anche l’intento di costruirsi un’immagine positiva con gli Alleati, utile nel caso di una sconfitta tedesca, ma certamente non c’era solo questo.
Non si sa quanti tra i teoricamente aventi diritto chiederanno la cittadinanza spagnola, ma si può prevedere che non saranno in pochi, soprattutto per il forte legame sentimentale con un passato e una terra mai dimenticati. Si può invece prevedere che non molti saranno quelli che si trasferiranno effettivamente in Spagna.
Non mancano comunque le critiche, ad esempio per i requisiti imposti dalla nuova legge: sostanzialmente quello di essere in grado di dimostrare «un vincolo speciale con la Spagna» (come avere un cognome riconoscibile come sefardita o conoscere il ladino) requisiti che saranno verificati da parte degli «Istituti Cervantes». Ma qualcuno comincia anche a sollevare una questione ben più politica. Perché non approvare una legge analoga per i «moriscos», i musulmani spagnoli convertiti espulsi dalla Spagna all’inizio del ’600? Anche loro erano una componente significativa di una Spagna culturalmente plurale, ricca e creativa prima che si imponesse l’opprimente morsa dell’uniformità.
Si discuterà, ovviamente, di questo e di altro. Ma sarebbe ingeneroso non dare alla Spagna il riconoscimento di un gesto che andrebbe anzi imitato da altri Paesi al fine di riconoscere, e rimediare quanto meno simbolicamente, le troppe ingiustizie della storia. Ingiustizie che ben pochi possono sostenere di non avere commesse.