Fonte:
il Manifesto
Autore:
Francesca Mulas
Nella rete sardofascista
Uno spettacolo sinistro ha funestato per dieci anni la festa del 25 aprile a Cagliari: mentre ex partigiani, antifascisti e cittadini ricordavano la liberazione del paese dal nazifascismo, un gruppo di giovani e meno giovani rendeva omaggio alla Repubblica Sociale di Salò. Dal 2003 e fino a tre anni fa il movimento neofascista sardo si è dato appuntamento ogni 25 aprile nella centralissima piazza Gramsci, nella stessa mattina in cui, a poche decine di metri, si snodava il corteo della Resistenza. Bandiere rosse e canzoni partigiane da una parte della strada, vessilli neri e appelli ai camerati dall’altra. Non parliamo certo di folle ma di poche decine di persone che sventolavano il tricolore al grido di «Onore ai caduti della Repubblica di Salò»: qualche braccio sollevato e un paio di simboli del Ventennio facevano da coreografia, mentre la città guardava impotente chiedendosi se non ci fosse il modo di evitare quello spettacolo lugubre. Da pochi anni la manifestazione è stata “sfrattata” dalla città e ora la parata nera del 25 aprile ripiega sulla vicina Quartu Sant’Elena. I neofascisti in Sardegna non sono una novità ma negli ultimi tempi la loro presenza ha assunto risvolti inquietanti. Da qualche anno cercano la visibilità delle piazze agganciandosi alla propaganda anti-euro, anti-immigrato, anti-tasse. La settimana scorsa i giovani del Movimento Sociale Sardo-La Destra hanno organizzato un presidio davanti alla Prefettura cagliaritana al grido di «Prima gli Italiani» e «Basta immigrati». Per l’occasione i militanti, una trentina, hanno tirato fuori pure la bandiera «Noi con Salvini»: sardi e leghisti insieme, un ossimoro che trova la sua forza nella lotta comune contro il nemico povero, quello che oggi si chiama immigrato ma che ieri era il meridionale, sardo compreso. Su Sardinia Post, quotidiano on line per cui lavoro, abbiamo descritto i movimenti di estrema destra in Sardegna, le sigle in cui si riconoscono e le battaglie comuni, e le azioni della città in risposta al sardo-fascismo. Tutto questo non è piaciuto a Daniele Caruso, giovane segretario regionale del Movimento Sociale Sardo: pochi giorni fa sono stata chiamata in causa sul suo profilo facebook per un mio articolo intitolato «Da Mussolini a Salvini: chi sono i neofascisti sardi schierati con la Lega». Caruso mi definisce «Giornalettaia» accusandomi di diffamazione e immediati partono i commenti dei suoi ‘amici’: «giomalisti terroristi», «zecche rosse schifose» e «baldracca» tra gli altri Il top è la frase di un altro sardo, un certo Francesco Vittiello: «Un giorno quando un maomettano arrapato la violenterà verrà strisciando a chiedere pietà ! Tiè beccati questa pennivendola di regime!». Una frase volgare, sessista e razzista, firmata da un personaggio che sui social network sfoggia saluti romani e magliette del duce. La frase di Vittiello rimane on line per diverse ore prima di essere rimossa. Daniele Caruso non commenta, non censura, non condanna l’istigazione alla violenza che trasuda dai commenti dei suoi amici nonostante lui stesso definisca il suo Movimento «pacifico». Del resto la sua pagina è zeppa di slogan che ben conosciamo: «Boia chi molla», «Onore ai camerati», «Molti nemici e molto onore» (ma l’apologia del fascismo, che sia in strada o nel mondo virtuale, non era reato?). Nello stesso profilo si leggono poi tanti incitamenti all’odio contro gli antifascisti: «Ci piazziamo una decina a un centinaio di metri con la macchina poco distante con le mazze e un paio di litri di olio di ricino», «I casi sono due, difendersi da soli a calci e pugni o uscire con le mazze». Sarà solo propaganda da tastiera? Nel dubbio non sottovalutiamo, noi cagliaritani conosciamo questi personaggi e sappiamo che il Movimento Sociale Sardo e gli altri neofascisti poi in piazza ci vanno davvero tra presidi, volantinaggio, parate per i Repubblichini. La tensione tra loro e gli antifascisti cagliaritani è ormai alle stelle e se finora si è evitato lo scontro è stato solo per caso. Tornando al commento di Vittiello con l’invocazione allo stupro, la redazione di Sardinia Post racconta subito quanto sta accadendo su facebook. Ricevo, riceviamo immediatamente il sostegno da centinaia di persone tra amici e colleghi; l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna e l’Associazione Stampa Sarda condannano l’attacco «volgare, maschilista e squadrista», il Gruppo cronisti sardi parla di «ennesima, vergognosa aggressione sessista nei confronti di una giornalista». Tantissimi sono anche gli sconosciuti che mi mandano messaggi di affetto e solidarietà. La Destra di Storace e la Destra sociale sarda sottolineano che non hanno niente a che fare con il Movimento Sociale Sardo. In tutto questo Daniele Caruso ci invia una nota in cui prende le distanze da quanto scritto: parla di «caso montato ad arte», sostiene che «la frase incriminata è stata scritta da uno sconosciuto sulla mia bacheca, non da me, non da un militante, non da un tesserato ma da un utente generico medio di Facebook» e ricorda la difficoltà di tenere a bada i commenti sui social. «Nel merito della frase incriminata, ovviamente, mi esprimo in totale disaccordo e esprimo solidarietà a tutte le donne a cui viene augurato uno stupro, si chiamino Isinbayeva o Mulas. Non posso non annotare che in questo caso non si è trattato di un augurio e non si è trattato di un politico, ma di uno sconosciuto che non nomino per evitare che a sua volta subisca ritorsioni di qualsiasi tipo. Mi pare che la gogna pubblica lo abbia già massacrato abbastanza». Grande preoccupazione per l’autore del commento, un po’ meno per una giornalista che ha ricevuto insulti e volgarità. In questa storia c’è ovviamente il disgusto per i social network usati come vetrina da persone violente, sessiste e razziste, ma l’orrore vero sta nel fatto che settant’anni dopo, il fascismo con il suo carico di odio e rabbia possa essere tollerato e legittimato nelle piazze vere e in quelle virtuali.