Fonte:
Corriere del Veneto
Autore:
Stefano Allievi
Il paradosso fascioleghista
Salvini non sarà oggi alla manifestazione veneziana di Fratelli d’Italia, in un cui era la prevista guest star, anche come risposta allo scambio di favori iniziato con la presenza di Giorgia Meloni alla manifestazione leghista di Roma. Ma il problema che pone questa nuova alleanza è tutto ancora in piedi. E la marcia su Venezia della destra di Fratelli d’Italia e Casa Pound è comunque parallela alla marcia su Roma della Lega, e fa parte della stessa strategia. Gli inizi della Lega erano antifascisti, tanto nella Liga che nella Lega Lombarda. Il Bossi plebeo e sinistrorso, loquela e immagine da proletario, non certo da notabile conservatore, è antifascista perché anticentralista, e lo dichiara a più riprese. Poi abbozzerà all’alleanza con Fini sotto l’ala protettrice di Berlusconi, ma per motivi tattici — per conquistare il federalismo dal centro — come dichiarerà spesso senza risparmiare stilettate all’indirizzo degli alleati: e, peraltro, senza raggiungere l’obiettivo. In una seconda fase, si trasformerà in una Lega trasversale, di destra e di sinistra, o al di là della destra e della sinistra, coerentemente all’idea di partito territoriale: un po’ come la SVP altoatesina o l’Union Valdotaine, ma su ispirazione dei ben più efficaci autonomisti catalani e scozzesi. Spingendosi anche più in là di questi partiti trasversali e pigliatutto, arriverà addirittura a costituire, per una breve stagione, formali correnti ideologicamente diversificate, tra cui i Comunisti padani: di cui sarà a capo, ironicamente, il Matteo Salvini che oggi si allea con la destra radicale. Oggi siamo in una fase diversa: quella dell’abbraccio con Casa Pound, e i saluti fascisti per la prima volta presenti a una manifestazione leghista, come successo a Roma. Ma non è del tutto una svolta. Con la destra radicale la Lega si è incontrata più volte su un comune terreno: il discorso xenofobo, anti-immigrati (che ha progressivamente sostituito quello antimeridionalistico, mentre la destra ha sempre avuto nel Mezzogiorno il suo più importante bacino elettorale), ma anche anti-islam, anti-rom, e in difesa della famiglia tradizionale (a dispetto delle biografie dei leader, che ne sono la negazione in radice), condito dal machismo celodurista bossiano, poco tenero anche con i diritti dei gay e l’omosessualità. E altre battaglie legge e ordine, come quelle sulla prostituzione, e oggi sul diritto all’autodifesa (con il comune riferimento a Graziano Stacchio, nume tutelare di entrambi i leader. Salvini inneggiava a lui con una t-shirt dal palco romano, Meloni titola la sua manifestazione «Difendiamoci»). Le battaglie contro l’immigrazione, in particolare, elettoralmente pagano: non a caso, dopo anni passati a farsi concorrenza su questo terreno, destra e Lega arriveranno a collaborare firmando la prima legge di stretta sull’immigrazione, la Bossi-Fini appunto. Insomma, un sostrato culturale comune in realtà c’è, anche al di là della divisione più grande, quella tra federalisti (e in alcune stagioni, oggi opportunamente dimenticate, secessionisti) e difensori dell’unità d’Italia, tra fautori delle piccole patrie locali e nostalgici della patria nazionale. Ironicamente, peraltro, l’incontro tra destra radicale e Lega, sul piano della collaborazione e dell alleanza elettorale, è avvenuto forse perla prima volta con successo, con la candidatura a Verona di Tosi a testimonianza del fatto che in politica la verginità è concetto aleatorio. L’effetto di questa alleanza probabilmente ci sarà, e sarà elettoralmente positivo, come mostrano i sondaggi. Una fetta crescente di elettorato giovanile, in particolare, dovrebbe convergere su questo disegno, trovando in esso concretizzazione alle proprie paure (la xenofobia è in crescita, tra i giovani), e un leader dal linguaggio sufficientemente esplicito dal riuscire a far presa, dando loro voce. Ma rischia di far pendere alla Lega un po’ del suo elettorato tradizionale, onestamente localista, figlio del partito federalista di un tempo, che negli anni ha innalzato il vessillo del leone di san Marco o il sole delle Alpi, e rischia oggi di trovarsi avvolto dal tricolore centralista. Producendo il paradosso di una Lega più forte a livello nazionale ma più debole sui territori, che sono stati tradizionalmente la sua forza; più mediatizzata ma meno compresa; più presente nel dibattito ma meno influente nel governo delle cose, più visibile ma meno spendibile; tatticamente meglio posizionata ma strategicamente indebolita.