19 Febbraio 2015

Il vignettista Vauro ha diritto ad essere risarcito per un articolo pubblicato nel 2008 sul quotidiano ‘il Riformista’ in cui lo si tacciava di antisemitismo

Fonte:

ANSA

Cassazione: vignetta Nirenstein, condannato Riformista

Vauro deve essere risarcito, suo disegno non era antisemita

Il disegnatore satirico Vauro ha diritto ad essere risarcito per un articolo pubblicato nel 2008 sul ‘Riformista’, allora diretto da Antonio Polito, nel quale Giuseppe Caldarola, ex direttore de L’Unità, gli attribuiva di aver scritto «sporca ebrea» nella vignetta nella quale Vauro criticava la scelta della giornalista di origine ebrea Fiamma Nirenstein di candidarsi con il Pdl insieme a nostalgici del fascismo, che in Italia promulgò le leggi razziali, come Giuseppe Ciarrapico e la nipote del Duce. Lo ha stabilito la Cassazione sottolineando che quella vignetta non era affatto «antisemita» e che non è vero che quella frase, come ha ammesso lo stesso Caldarola, era stata scritta, né pensata, da Vauro. «Vauro non accetta di censurare la vignetta, che ha fatto tanto ridere Gino Strada, in cui chiama Fiamma Nirenstein ‘sporca ebrea’», aveva scritto Caldarola nell’articolo incriminato. Ad avviso della Suprema Corte è «irrilevante» il fatto che l’autore dell’articolo, Caldarola, «non fosse mosso dall’intento di diffamare Vauro Senesi». «L’aver attribuito al disegnatore una valutazione così spregiativa della persona di Fiamma Nirenstein – scrive la Cassazione nel verdetto 7715 depositato oggi -, quale quella compendiata nell’espressione ‘sporca ebrea’, è valso ad additarlo ai lettori come responsabile di un insulto connotato da discriminazione razziale: e cioè di un fatto che, oltre a costituire reato, è oggetto di pubblica riprovazione in base al comune sentire». Guardando la vignetta, spiega la Cassazione, si vede che sotto il titolo ‘Mostri elettorali’, «era effigiata una donna espressamente indicata come Fiamma Nirenstein (per quanto il cognome fosse alterato in ‘Frankestein’), recante sul petto la stella di David e descritta fisicamente con quei caratteri somatici con i quali la propaganda antisemita ha sempre raffigurato le persone di etnia ebraica». Ma il disegno si appuntava sulla «mostruosità elettorale, esaltata anche con il fatto di aver appuntato sul petto il fascio littorio e il simbolo ‘Popolo delle liberta’». Secondo gli ‘ermellini’, non merita accoglimento la tesi difensiva in base alla quale anche se le parole «sporca ebrea» non erano esplicitamente scritte, «il medesimo concetto sarebbe emerso per implicito dalle caratteristiche fisiche raffigurate». Per la Cassazione, è invece «logicamente ineccepibile» la conclusione – già sposata dalla Corte di Appello di Roma – che «i tratti grafici identificativi dell’ebraismo erano necessari a evidenziare la ‘mostruosita’ elettorale insita nel fatto che una persona appartenente a quella stessa etnia che era stata perseguitata dai cultori di una certa ideologica si fosse candidata alle elezioni unitamente ad un gruppo politico che di quella ideologia, non interessa qui se a torto o a ragione, era considerato l’erede». Sottolinea la sentenza che «certa ed inevitabile era dunque, nell’ottica del vignettista e coerentemente con lo spirito del messaggio satirico, la qualificazione della Nirenstein come ‘ebrea’; ma l’aggettivo ‘sporca’ con tutta la carica spregiativa che vi si sarebbe ricollegata, è rimasta assente dal contenuto descrittivo della vignetta, nella quale l’aspetto sdrucito del vestiario era piuttosto evocativo, in una con l’imposizione della stella giudaica, delle miserande condizioni nelle quali gli ebrei erano stati ridotti nei campi di concentramento gestiti dagli alleati del fascismo». Per questo, scrive ancora la Cassazione, non si può «considerare sorretta da verità l’affermazione che il Senesi avesse trattato la Nirenstein da ‘sporca ebrea’». «Una volta esclusa la verità del fatto, si rende superflua ogni valutazione circa la sussistenza dei restanti requisiti per l’applicabilità dell’esimente del diritto di critica, che va conseguentemente esclusa», conclude la Suprema Corte – estensore Paolo Oddi, presidente Giuliana Ferrua – affermando il diritto di Vauro ad essere risarcito in una causa civile.