Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Pierluigi Battista
Quell’omaggio al piccolo Stefano perché gli ebrei non siano più soli
Nel suo primo discorso da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha reso omaggio a Stefano Gay Taché, il «nostro bambino», il «bambino italiano» che fu ammazzato da un commando di terroristi palestinesi il 9 ottobre del 1982, all’età di due anni, mentre usciva con la sua famiglia dalla Sinagoga Maggiore di Roma, per celebrare l’ultimo giorno della festa ebraica di Sukkot. Non lo sapevamo già? Lo sapevamo, ma era come se la comunità nazionale non lo volesse sapere. Ricordare un bambino ebreo trucidato perché ebreo nel pieno centro di Roma 33 anni fa, è un gesto di grande sensibilità del presidente di tutti gli italiani: soprattutto in questi giorni tristi in cui in un supermarket kosher di Parigi un combattente del fanatismo religioso ha appena compiuto una strage di ebrei, alla vigilia di Shabbath. Abbiamo fatto finta di niente per anni. Il nome di Stefano Gay Taché ha fatto fatica persino a essere inserito nell’elenco ufficiale stilato dal Quirinale delle vittime italiane del terrorismo: si deve alla tenacia di Giorgio Napolitano se quella mostruosa discriminazione è stata finalmente sanata. I connazionali ricordano a stento quell’attentato che stroncò la vita di un bambino italiano ed ebreo. L’eccidio di Tolosa dove due anni fa hanno perso la vita tre bambini ebrei uccisi da uno jihadista aveva avuto luogo anche in Italia. Ma le autorità italiane lasciarono soli gli ebrei. Sulla stampa nazionale, eccitata dall’invasione israeliana del Libano, imperversò un surreale dibattito imperniato sul concetto di «razza dominatrice» e sul «Dio vendicativo» del Vecchio Testamento. Pochi giorni prima dell’attentato in cui perse la vita Stefano, un corteo sindacale sfilò con una bara davanti al Tempio Maggiore e Luciano Lama se ne scusò con parole accorate. Oggi quella ferita non può venir sanata, ma nelle parole di Mattarella riecheggia la volontà di non lasciar mai più soli gli ebrei italiani. Era ora.