Fonte:
Il Foglio
Autore:
Angela Nocioni
Quei cartelli in Argentina: “Ebrei fuori, qui non vi vogliamo”
Roma. Può capitare in questi giorni a Buenos Aires di ricevere di resto una banconota da due pesos con su scritto a penna: “Fuori gli ebrei dalla Patagonia”. Passeggiando per l’amena località del Bolsón, cielo limpido e grandi boschi nel profondo sud argentino, ci si imbatte in cartelli stampati, firmati Comitato di solidarietà con la Palestina: “Ebrei fuori, qui non vi vogliamo”. Appaiono qua e là svastiche sui muri. Sono settimane che la comunità ebraica di Bariloche, la città più turistica della Patagonia, denuncia un’ondata di antisemitismo. All’agenzia di notizie locale Noticias de Bariloche risultano numerose denunce per attacchi antisemiti.
La notte tra domenica e lunedì della settimana scorsa un hotel famoso nella zona dei laghi del Chubut, in Patagonia, a Lago Puelo, è stato circondato da un gruppo di gente del posto che prima ha lanciato molotov e ha sparato proiettili contro le pareti dell’albergo al grido “ebrei di merda!”, poi è riuscito a entrare, ha coperto di insulti antisemiti e derubato gli ospiti dell’albergo: una comitiva di turisti israeliani. Racconta il proprietario dell’hotel, Sergio Polak: “E’ stato un assalto, varie ore di terrore. Gridavano ebrei schifosi, ci state rubando la Patagonia”. Dice che l’incubo è durato a lungo perché non c’erano agenti di polizia in zona. Non è il primo raid del genere, è stato solo il più violento. “I primi episodi sono di marzo dell’anno scorso – ha raccontato Polak al giornale argentino la Nación – hanno cominciato incendiando la recinzione, poi hanno dato fuoco a due bungalow dell’hotel. Credo sia l’effetto della campagna in corso contro il turismo in arrivo da Israele, qualcuno fa girare la voce che non si tratti di turisti, ma di soldati israeliani”.
Dice al Foglio Daniel Muchnik, intellettuale ebreo di Buenos Aires: “Sta tornando a circolare la vecchia teoria cospiratrice che accusa gli ebrei argentini di volersi appropriare insieme a Israele della Patagonia. Uno dei suoi teorici fu un professore della facoltà di Diritto di Buenos Aires, Walter Berveraggi Allende. E’ una teoria folle, già stata emblema del nazionalismo fascista d’Argentina che negli anni Trenta e Quaranta cercava di impedire con ogni pretesto l’ingresso di rifugiati ebrei in fuga dal nazismo”. L’impronta degli attacchi di questi giorni, sostiene Muchnick, “è quella delle campagne antisemite dei vecchi gruppi nazifascisti d’Argentina, per esempio di quelle portate avanti dall’Alianza Libertadora Nacionalista y Tacuara. Da quel gruppo vengono molti dirigenti Montoneros degli anni Settanta”. I Montoneros, movimento politico argentino che ebbe il suo boom di militanza tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, non erano un corpo compatto, avevano dentro l’organizzazione un’estrema destra e un’estrema sinistra, una contro l’altra armate. Quest’ultima confluì, in parte, nella lotta armata contro il regime militare (’76-’82), l’altra accolse molti reduci della militanza pro nazista. A quella si riferisce Muchnik.
“Il raid contro l’hotel di Chubut – assicura – ha il sapore rancido dell’antisemitismo del vecchio nazionalismo. Non vedo un pericolo jihadista immediato qui, ma non escludo possano sorprenderci attacchi fatti con gente locale finanziata con soldi in arrivo dall’Arabia Saudita, dal Qatar o dall’Iran. Non siamo un’isola perduta”. Ma c’è o non c’è un’emergenza antisemitismo in Argentina? Risponde Muchnik: “C’è un antisemitismo strisciante. Viene da lontano. Non ci fu sorpresa infatti per le due terribili stragi all’ambasciata di Israele, nel 1992, e alla Amia, la mutua ebraica, nel 1994. Per compiere quei due attentati fu utilizzata manodopera argentina. Dall’estero possono essere arrivati i finanziamenti e i mandanti, ma c’era gente di qui coinvolta. L’antisemitismo ora è manifesto nella polizia, in alcune pieghe della burocrazia statale e nel nostro ministero degli Esteri nonostante l’attuale ministro degli Esteri Timerman, sia ebreo”. C’era Ti-merman alla marcia di Parigi dopo la strage, ma ha dovuto partecipare come singolo cittadino. Non c’era una delegazione ufficiale argentina. La presidente argentina non l’ha autorizzato a partecipare in sua vece. Altri governi latinoamericani hanno mandato delegazioni delle proprie ambasciate a Parigi in rappresentanza ufficiale. Buenos Aires no. “Una vergogna nazionale” dice Muchnik. E’ in questo bell’ambientino che si svolge l’indagine sulla morte del giudice Alberto Nisman.