Fonte:
Corriere del Trentino
Autore:
Silvia Pagliuca
Scuola dell’odio antisemita
II volume Un viaggio spazio temporale nell’ultimo lavoro di Renzo Fracalossi «La persecuzione ebraica non è un fenomeno proprio solo del XX secolo» Appunti di passati dolenti per ricostruire il destino storico degli ebrei in Italia
La calunnia come primo stadio dell’antisemitismo, l’ignoranza, ovvero la non conoscenza, come giustificativo finale. Eccola, «La scuola dell’odio» fautrice della persecuzione ebraica, analizzata, in ogni sua espressione, da Renzo Fracalossi, regista, autore teatrale, presidente dell’associazione Club Armonia di Trento e capo di Gabinetto della presidenza del Consiglio. In 315 pagine, pubblicate da Ancora Editore e disponibili anche in formato ebook, Fracalossi raccoglie «appunti sulla storia dell’antisemitismo in Europa»: dal Medioevo all’epoca dei Lumi, dalla Belle Epoque alla grande vergogna della Shoah per arrivare fino a giorni nostri, intrisi di negazionismo e recrudescenze neonazionaliste. Perché la persecuzione antiebraica non è un fenomeno proprio solo del XX secolo né può essere delimitato a ideologie da regime — ribadisce più volte l’autore. Il libro sarà presentato venerdì nell’aula magna della Fondazione Kessler. Interverranno Benedetto Terracini della comunità ebraica di Torino, Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino, e lo storico Vincenzo Calì. In Europa, i pregiudizi e i falsi miti relativi agli ebrei sono stati molteplici: accuse economiche, di corporativismo e di elitarismo religioso, originatesi da un’invidia senza tempo e senza confine. Il viaggio di Fracalossi si dipana, dunque, in un arco non solo temporale, ma anche spaziale: frammenti di passati dolenti si sondano dalla Germania alla Francia, dall’Inghilterra alla Russia, passando per Italia e Polonia, alla ricerca non di una verità unica, quanto piuttosto di una molteplicità di reali. Così, se per ricostruire il destino storico degli ebrei in Italia, l’autore passa al vaglio le comunità di Roma e Venezia, per la Germania chiede aiuto alla semantica. Il fanatismo antiebraico, infatti, emerge fin dal termine Jude, Giudeo, sinonimo di «usura». Utilizzato in maniera ancor più dispregiativa con l’accostamento christenjuden, «cristiani-giudei», con cui i tedeschi indicavano i grandi magnati e più in generale tutti coloro che avevano a che fare con il denaro. Lasciandosi guidare dal saggio, semplice e divulgativo, si scopre, così, quale sia l’origine di molti dei luoghi comuni che hanno plasmato, e tutt’ora plasmano, il sentire collettivo. Si risale all’antisemitismo dei filosofi Kant e Fichte, autore quest’ultimo dei celeberrimi Discorsi alla nazione tedesca, con cui invocava l’espulsione di tutti gli ebrei dal suolo germanico, per poi approdare a I Protocolli de Savi Anziani di Sion, con cui prende corpo il mito della cospirazione mondiale, con ipotetici dialoghi segreti tra sionisti che intenderebbero conquistare il mondo. Tesi che in una Germania uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale attecchirono con facilità. È in questo periodo che i Protocolli, apparsi in forma abbreviata nel 1903 e integralmente nei 1905, raggiungono massima diffusione facendo del complotto ebraico un utile strumento per nascondere inettitudini e fallimenti di un’intera classe dirigente. Ma è al «delirio nazista sulla purezza della razza ariana» che l’autore dedica massima attenzione: dalle espulsioni del ‘33, con 5oomila ebrei tedeschi messi al bando dall’amministrazione statale e dalle aule universitarie alla «protezione del sangue tedesco» del ’35, quando per decreto si impedì l’unione in matrimonio tra ariani e non ariani. Un vortice che — sottolinea con acutezza Fracalossi — seppure spietato, perde raramente di lucidità. Nonostante il piano nazista di odio antisemita fosse crudele e ben delineato, nei documenti ufficiali trovano spazio solo versioni criptiche e mai esplicite. «Respingimento degli ebrei» per «espulsione dallo spazio vitale tedesco», «prole-tarizzazione» invece di «spoliazione dei beni», «evacuazione», «deportazione», «riduzione naturale», infine, come allusione alla morte con gas. In alcuni casi, inoltre, la manipolazione psicocriminale si avvale di una giustificazione medica. Così accade, ad esempio, per l’Aktion T4, il programma con cui i bambini handicappati venivano «requisiti», portati in ospedali pediatrici e uccisi con iniezioni letali, mentre ai genitori, rimasti a casa, veniva recapitato un certificato in cui si parlava di «decesso per polmonite»: 1.500 i piccoli ebrei che non raggiunsero l’età adulta, ritenuti «meritevoli» del programma Aktion T4 per via della loro stessa origine. Una «soluzione finale» nota a tutti, scritta negli elenchi dei tanti, tantissimi, improvvisamente, scomparsi, nei lamenti dei treni carichi di morte o nelle polveri oleose dei camini. Eppure — mette in guardia l’autore — non tutti sono disposti a ricordare e condannare, e l’antisemitismo rischia, specie nelle fasi in cui le crisi economiche si fanno più acute, di riprendere piede. Il negazionismo, sia esso colto o olocaustico, è quanto di peggiore per l’evoluzione delle società. La stessa Italia, che pure ha introdotto La Giornata della Memoria come momento essenziale di coscienza collettivo, ha per lungo tempo cercato di autoassolversi, propagandando una supposta diversità del razzismo fascista da quello nazista. Ma – chiosa l’autore – qualunque rito, privato di significato, rischia l’inutilità. Ciò che è necessario è ricordare, raccontare e capire affinché la scuola dell’odio non abbia più discepoli.