Fonte:
Avvenire
Autore:
Luca Liverani
«No alle parole che uccidono»
Al via la campagna sui media. Boldrini: segnale di civiltà
Che le parole possano uccidere è una verità antica quanto la Bibbia. «Ne uccide più la lingua che la spada , ricorda il libro del Siracide. Vizio antico, duro a morire e pronto a colpire. Sì, perché ci sono parole che uccidono. Così chi fugge dalla guerra in Siria è un «clandestino». Punto. Chi è arriva dall’Africa per fuggire la miseria un «negro». Chi è rom è indiscutibilmente un «ladro». Chi non si conforma agli standard fisici di fotomodelle anoressiche e attori palestrati un «ciccione». Crescono gli stereotipi, aumenta l’intolleranza, si moltiplicano gli atti di razzismo. Proprio per combattere i pregiudizi veicolati dal linguaggio è partita ieri la campagna sociale voluta da Famiglia Cristiana con Avvenire e i 190 settimanali cattolici della Fisc.
Si chiama «Anche le parole possono uccidere» ed è accompagnata dall’ hashtag #migliorisipuò. Opera dell’agenzia Armando Testa, è diffusa sulle testate cattoliche e arriverà anche in 10mila scuole, parrocchie, oratori. Patrocinata dalla Camera e dal Senato, è stata presentata ieri a Montecitorio da Laura Boldrini: «Una campagna di civiltà», l’ha definitala presidente della Camera. «È più facile cambiare una legge- ha aggiunto – che l’uso delle parole. Sul lingua x o non si deve sorvolare perché nasconde molto altro». Citando la Carta di Roma, il codice deontologico peri mass media in materia di immigrazione e asilo, Boldrini ha ricontato come spesso le parole siano usate impropriamente come sinonimi: clandestino, migrante, richiedente asilo, rifugiato. «Ognuna risponde a una connotazione giuridica ben chiara – ha sottolineato – e chiamare clandestino un rifugiato significa punirlo una seconda volta». «Avvenire partecipa a questa campagna perché è la naturale prosecuzione del nostro modo di fare informazione”», ha detto il direttore Marco Tarquinio. «Oggi – sottolinea – c’è bisogno di una alfabetizzazione nuova sulle parole fondamentali. Purtroppo c’è un uso pervasivo, smodato di parole che uccidono. Nella stampa quotidiana in questi anni c’è stato un processo di involgarimento e di incattivimento: e che parole campeggiano sulle prima pagine dei giornali, con quale continuità e aggressività! Parole denigratorie e volgarissime sono transitate dalle intercettazioni telefoniche alle pagine dei giornali, e sono diventate titolo permanente per qualificare grandi leader come la signora Angela Merkel. Così si creano muri, si divide, si separa irreparabilmente».
Le quattro parole della campagna «toccano quattro nervi sensibili. Basti vedere il caso di Napoli o la categorizzazione di tutti i Rom: uno dei mali del nostro tempo – ha rilevato Tarquinio – è quello di rinchiudere le persone di un gruppo sociale dentro scatole. I giornali di ispirazione cristiana sono naturalmente con questa campagna perché stanno sempre dalla parte dei marginali. Usiamo parole che costruiscono, non quelle che uccidono».
«In questa direzione – ha detto il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino – ci dà un aiuto potente papa Francesco: parlare male di qualcuno, ci dice, equivale a venderlo, come fece Giuda con Gesù. Freniamo la lingua perché le parole sono pietre. Sull’immigrazione la stampa fornisce sempre un quadro di sicurezza e ordine pubblico, senza raccontare l’integrazione e la risorsa che sono per l’economia e la demografia. Ma ora si toma scaricare sugli immigrati i mali della crisi».
Don Bruno Cescon, vicepresidente della Fisc, ha sottolineato come «un linguaggio neutro non esiste: le parole hanno sempre un significato e conducono da qualche parte. Scantinare pregiudizi e parole non è facile, a noi spetta il compito di sentirci corresponsabili e aiutare ad interpretare la realtà».
I più “antipatici”: rom, drogati e musulmani
«Qualcuno dirà che è una campagna forte o aggressiva. Ma se farà nascere dibattiti, significa che sarà entrata nell’anima più profonda della gente». È la speranza di Marco Testa, presidente del Gruppo Armando Testa, creatrice della campagna. A supporto dell’iniziativa, SWG ha realizzato un’indagine demoscopica su 706 italiani per verificare quanto la «narrazione collettiva» pesa, al di là delle esperienze individuali, sulle opinioni. Così gli echi del fondamentalismo spinge il 36% a temere che l’arabo in aeroporto sia un terrorista. L’83% controlla il portafoglio se una zingara sale sul bus. E c’è disagio verso i mendicanti (32%), rabbia per i tossicodipendenti (29%), paura (29%) per i Rom. Nella classifica dell’antipatia in testa ancora zingari e tossicomani. Ma il 41 % proverebbe disagio per un vicino extracomunitario, il 28% ad averlo come collega. Dato che sale al 42 e al 33 se lo straniero è musulmano. Il 24% non gradirebbe nemmeno un vicino ebreo. Swg spiega anche che «chi fa riferimento ai valori della patria e della tradizione cattolica tende a mostrare una tolleranza più ampia rispetto al totale della popolazione», a conferma che «gli elementi culturali ed educativi proteggono contro gli atteggiamenti discriminatori»