Fonte:
Il Garantista
Autore:
Franco Cardini, Furio Colombo
Il dovere della memoria non vuole limiti o sanzioni
di Franco Cardini
La commissione Giustizia del Senato ha approvato il 17 giugno scorso il disegno di legge S 54, “modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n.654”, presentato il 15 marzo (primi firmatari Silvana Amati e Lucio Malan). Il testo, che dovrà ora venir discusso in aula senatoriale (relatrice Rosaria Capacchione), prevede l’introduzione del reato di negazionismo che sarebbe punibile con reclusione fino a tre anni e con multa fino a 100.000 euro. Se venisse trasformato in legge, esso comporterebbe addirittura la modifica dell’articolo 414 del codice penale. Il testo ora approvato dalla commissione Giustizia si diffonde sui modi attraverso i quali sarebbe possibile commettere- tale reato attraverso qualunque forma — le telematiche comprese – di propaganda e di diffusione di “idee” (sic) fondate “sulla superiorità o sull’odio razziale, etnico o religioso”. Il quadro è molto ampio, riguarda profondamente anche questioni attuali dolorosamente vive nello scenario internazionale ma non è chiaro su un punto: che cosa significhi “negazionismo”. Stando al testo, incorrerebbe appunto in tale reato chi si rendesse responsabile di “apologia, negazione, minimi azione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”, per definire i quali ovviamente si rinvia al testo degli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della corte penale internazionale. Ora, quel che non si capisce è in che modo, in quali circostanze, con quali limiti e attraverso quali strumenti sarebbe possibile individuare non tanto l’apologia o la negazione tout court, quanto la “minimizzazione” di quei crimini: e quindi, soprattutto, l’accertamento che essi siano o siano stati effettivamente tali, e commessi con le caratteristiche di estensione e di gravità che il testo ritiene con ogni evidenza come già definitivamente, irreversibilmente accertati. Ad esempio, sarebbe in futuro denunziabile e magari condannabile alla luce di quel testo, una volta trasformato in legge dello stato, chi sollevasse dubbi o eccezioni a proposito delle atrocità commesse nel carcere irakeno di Abu Ghraib o in quello (statunitense, ancorché in territorio cubano) di Guantanamo?
Il punto reale è un altro. Purtroppo, nel nostro o in altri paesi, la polemica sul cosiddetto “revisionismo storico” e quindi sul “negazionismo” (a torto o a ragione considerato l’estremizzazione del revisionismo) ha finito negli ultimi anni con il riguardare esclusivamente la questione della Shoah. Quel “dovere della memoria” del quale tanto si è parlato ha finito con l’associarsi al principio dell’unicità (e irrepetibilità?) del crimine dello sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, e al carattere totalizzante e sistematico di esso (almeno nelle intenzioni di chi lo programmò e lo perpetrò) al punto da giungere in un certo senso all’esatto opposto di quella che era, almeno per molti, la sua primitiva ispirazione. La Shoah ha finito con il campeggiare come il crimine per eccellenza, da ricordare non già come esempio e modello di tutti gli altri, ma in sostituzione ad essi: tanto che, in Francia, se si è voluto che il “dovere della memoria” riguardasse anche lo sterminio degli armeni compiuto dai turchi tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, si è dovuto ricorrere a un’apposita legge. In questo contesto, chiunque negasse (o minimizzasse) che sia esistito nella storia un genocidio dei native Americans, o dei tasmaniani, o dei tutsi — per tacere i massacri commessi nei secoli passati — non si renderebbe reo di “negazionismo”. Esso riguarda, anche nella generale sensibilità della pubblica opinione, soltanto chi in vario modo e con veri argomenti eccepisce sul carattere e le intenzioni del “programma del Wannsee” o sui “campi di sterminio” nazisti. E le legislazioni vigenti in vari paesi europei vanno appunto in tal senso.
La questione è resa delicata dal rischio che si finisca con il porre per legge dei limiti alla libertà non solo d’espressione, ma anche d’informazione e di ricerca. Quell’attività criminosa ch’è stata globalmente definita come “negazione, giustificazione, banalizzazione” del genocidio o dei crimini di guerra o di quelli contro l’umanità è stata, nella pratica concreta, individuata in un’eterogenea a costellazione di dichiarazioni e di scritti che vanno dalla banale o demenziale apologia oppure dalla volgare e ingiustificata menzogna assolutrice dei crimini nazisti fino a scritti contestati e contestabili ma non trascurabili né indegni (al contrario!) di confutazione, fino a saggi di notevole valore euristico e documentario che possono anche essere – e magari si è anche provato che lo sono – pieni di lacune, d’inesattezze, di errori, perfino (in qualche caso) di menzogne: e che nonostante ciò sono frutto della libertà di ricerca o di un impegno effettivamente erudito se non addirittura scientifico. Sappiamo tutti ad esempio che un indiretto “ridimensionamento” (che peraltro nulla ha tolto sul piano qualitativo all’enormità del crimine oggetto della ricerca) è provenuto addirittura dal contributo di studiosi ebrei israeliani quali Norman G. Finkelstein con il suo celebre L’industria dell’olocausto (tr.it. Rizzoli 2002). E’ chiaro che — a dispetto di quel che certi media hanno tentato di fare — non si può far d’ogni erba un fascio associando studiosi seri come Ernst Nolte a personaggi dagli aspetti caratteriali curiosi ma che hanno pur dato prova di grosso spessore scientifico quali David Irving o a poligrafi che appaiono caratterizzati da una certa monomania ma che pure hanno raccolto dati analiticamente parlando non sempre trascurabili, quali un Robert Faurisson, o infine a volgari e maldestri apologeti neonazisti di quelli che infestano le più varie reti di telecomunicazione.
Non esiste fatto storico che possa per legge venir stabilito come perfettamente e definitivamente ricostruito; nessuno a proposito del quale la ricerca possa venir vietata o limitata. Tantomeno si può sancire per legge una “verità storica” dichiarando criminale qualunque studio che ad essa apporti complementi o variazioni o correzioni. Per il resto — dalla menzogna alla calunnia — esistono nel nostro paese leggi che puniscono l’apologia di reato e di fascismo e che sono abbastanza rigorose ed efficaci per mettere a tacere qualunque volgare tentativo di offuscare la verità. Non abbiamo alcun bisogno di una legge che rigorosamente dichiara reato qualcosa che poi non è in grado nemmeno di fumosamente descrivere e circoscrivere. E’ evidente che non si può sancire sul piano giuridico quel che, sul piano storico, è ancora — e deve restare — oggetto di ricerca e di discussione. Sulla Shoah molti problemi restano aperti: primi fra tutti, il numero e la qualità delle vittime effettive dei massacri intenzionalmente tali (da distinguere dai morti per fame. per malattia, in seguito a vari incidenti o eventi bellici, oppure magari uccisi sì ma non in quanto membri di un gruppo che si era pianificato di distruggere in quanto tale); i metodi e le risorse che permisero i massacri, i loro costi, la loro provenienza; infine l’effettiva pianificazione intenzionale, la documentazione che la comprova e le problematiche ad essa relative. Può essere doloroso e addirittura ripugnante questa macabra computisteria: ma a stabilire i caratteri qualitativi e quantitativi del delitto essa è necessaria. Non la si può sostituire con dati imprecisi o non comprovati, bensì arbitrariamente fissati per legge.
Tralascio qui altri argomenti: come quelli dell’opportunità tattica. Non m’interessano le obiezioni di quanti sono contrari alla legge sul negazionismo in quanto temono che una sua applicazione trasformerebbe eventuali condannati in “vittime” o in “martiri” della libertà di pensiero. Ritengo sia inutile sottolineare che una legge del genere potrebbe costituire un pericoloso “precedente” per qualunque futura legge repressiva della libertà di pensiero. Questi due ordini di considerazioni possono avere il loro peso nello sconsigliere l’adozione della legge di cui stiamo parlando: ma non lin ritengo primari.
Il centro della questione sta altrove. Esso risiede nel fatto che il “dovere della memoria” (ch’è anche, e soprattutto, un diritto) non sopporta né eccezione né limitazione alcuna. Quanto allo storico, egli ha il dovere di ricostruire il passato utilizzando gli strumenti e i metodi scientificamente più idonei e aggiornati. E per questo sa bene che la “verità” in esso insita, e che in sé e per sé non può mai essere se non uguale a se stessa, è suscettibile di mutare d’aspetto: non solo in quanto il progresso nei metodi d’indagine è in grado di eliminare o almeno di ridurre gli errori d’interpretazione, ma anche in quanto mutano le prospettive di chi tale passato consideri Ecco perché qualunque forma di moralismo va espunta dalla ricerca storica: la quale ciò nonostante trova la sua forte, specifica moralità proprio nel rispetto scrupoloso e spregiudicato della verità che dal rinnovamento della ricerca dinamicamente emerge e che non può venir coartata e ingabbiata da istanze ideologiche o eticheggianti di sorta. Alle soglie dèll’età moderna, l’Occidente ha gradualmente rinunziato a dare un senso all’universo e alla vita. Questa rinunzia era il prezzo da pagare per costruire una società che potesse fare a meno di Dio: il prezzo del processo di laicizzazione. Ma la rinunzia a conferire un senso all’universo e alla vita comportava la necessità di ancorarsi a qualcos’altro: l’Occidente moderno ha perciò dovuto dare un senso deterministico alla storia, ha dovuto convincersi ch’essa avesse un telos, un fine, uno scopo.
Il crollo delle ideologie ha perfezionato il processo di laicizzazione dell’Occidente: o, se si preferisce, ne ha scoperto definitivamente il non-senso, l’implausibilità. La scoperta che la storia non ha alcun senso, che non va da nessuna parte, che non coincide con alcuna affermazione di verità morali, che non procede verso il bene guidata da alcuna forza immanentisticamente e intrinsecamente ad essa connaturata, comporta un “disincanto” che non tutti sono in grado di accettare. Non lo accettano, soprattutto, gli ésprits forts lai- sti quelli che agevolmente avevano rinunziato a Dio, per sostituirgli le divinità moderne dell’ideologia e del senso positivo del progresso e della storia. L’historically correctness che ha inventato i vari fantasmi del “revisionismo” ha attinto all’angoscia scaturita dalla perdita delle beate certezze ideologiche e storico-deterministiche. E’ l’ultimo baluardo d’una teologia laicista dura a morire, anche perché serve ancora, attualmente, da alibi per le nuove forme d’imperialismo tecnologico ed economico-finanziario dei padroni dell’Occidente, le multinazionali che gestiscono la globalizzazione e amano rivestire la loro logica di profitto dei nobili abiti dell’umanitarismo. Che la gestione dei profitti e dei consumi giovi all’intera umanità è l’ultimo residuo del dogma storico-deterministico: chi rivisitando la storia propone letture del passato diverse da quelle storicizzate e tranquillizzanti già collaudate può mettere in discussione anche il futuro. Ecco perché – pensano gli attuali signori della terra – è necessario demonizzarlo. La caccia ai fantasmi “negazionisti” fa parte di questo disegno.
I fatti criminali devono essere sempre puniti
di Furio Colombo
Il negazionismo non è un oggetto che imbruttisce una stanza. Il negazionismo sbarra l’ingresso a una stanza, che chiamiamo Shoah, e che è il deposito certificato di un immenso e unico orrore del mondo, nel quale sono stati accumulati, con una intenzione esplicita e una organizzazione perfetta milioni di persone portate a morire, milioni di persone che sono morte con il progetto, scritto, proclamato e sottoscritto, di sterminare un popolo. Ammettere che tutto ciò sia una opzione degli storici, come certi tentativi di ricostruire per ipotesi il senso della città etrusca, vuol dire rimuovere un blocco di storia e il suo senso, mentre quel blocco è ancora rovente, mentre vi sono testimoni. Il negazionismo ne sa di più e disprezza i testimoni, visti come vittime di enfasi culturali che non hanno niente a che fare con ciò che effettivamente hanno visto e vissuto. Perché il negazionismo pretende di situarsi a monte degli eventi e dunque di saperne di più? Perché si giova – ti dice – del distacco sia sentimentale sia morale dagli eventi affannosamente denunciati dai presunti protagonisti. In tal modo il vero storico vede e sa ciò che l’infatuazione culturale impedisce di conoscere. Il negazionismo conta sull’efficacia di gettare il peso della tragedia sulle vittime: dimostrino ciò che dicono, se ne sono capaci. Il negazionismo si affida al senso di sollievo di tutti coloro che, al momento delle persecuzioni, erano salvi perché non erano vittime, e quando avrebbero potuto intervenire di fronti a eventi folli e assurdi, si sano scansati. Il negazionismo conta sull’immenso silenzio di coloro che, tacendo, si sono fatti complici. Tutti i loro discendenti sono invitati a schierarsi di qua, fra gli innocenti. I loro padri hanno taciuto perché non è successo niente, e le vittime cercavano e cercano una attenzione interessata e morbosa. Il negazionismo insinua che lo Stato di Israele esiste a causa della invenzione della Shoah e che sbugiardando l’invenzione si svela la menzogna del Sionismo. Il negazionismo si muove dunque non solo in posizione contigua (e di sostegno) all’antisemitismo, ma anche con gruppi che non intendono essere (o non credono di essere) antisemiti. Ma dichiarano di essere antisionisti e trovano un buon argomento nella invenzione Shoah, che copre Israele inteso come errore. Il negazionismo dunque diventa rapidamente e quasi inconsciamente doppio: negazionismo della Shoah e negazionismo di Israele. Si tratta quindi di una dichiarazione di guerra, che non resta confinata nei libri e nelle tesi, che – si dice – devono essere tollerate in omaggio alla libertà di opinione. Il negazionismo è visibilmente ed evidentemente destinato a diventare azione, strategia, impegno materiale e fisico nel momento in cui è tollerato, e dunque accettato come plausibile. Vi sono opinioni che, se dichiarate in certe condizioni di vita pubblica, diventano fatti.
Il negazionismo è un fatto perché:
Primo, rimuove un altro fatto, un fatto gravissimo (non un’idea ), e colloca, al posto di quel fatto una pesantissima accusa che cambia la Storia. Questa accusa è a carico delle vittime, le costringe a una difesa continua, mira a neutralizzarle e isolarle, aggiungendo un che di spregevole a causa del “lutto inventato”.
Secondo, produce la conseguenza grave – e la più ambita dall’antisemitismo – di dividere l’opinione del mondo in due parti diverse da “razzismo” e “antirazzismo”. Se il negazionismo è detto e creduto, gli ebrei se la devono vedere da soli con la loro storia della Shoah e la loro pretesa di persecuzione, e tutti gli altri non solo non c’entrano ma sono sollevati dal dubbio di avere avuto parte nel progetto di sterminio. Sono tutti innocenti, Ss incluse. Tutti, tranne gli ebrei.
Terzo. Il negazionismo aggancia e chiama in causa come colpevole, il sionismo, togliendo l’intero parco culturale del razzismo dal banco degli imputati. Come è noto, nella cultura del mondo (vedi la famosa dichiarazione della Assemblea generale delle Nazioni Unite che, per oltre dieci anni, ha equiparato il sionismo al razzismo), e in particolare nella cultura della sinistra, il sionismo è stato separato de tutti gli altri irredentismi nazionalisti e socialisti d’ Europa in cui si è formato, e, a differenza di tutti gli altri combattenti per una patria sono stati assimilati, nonostante il piccolo numero e la tenace avversione della Chiesa cattolica, al colonialismo e all’imperialismo. In tal modo si è negato al sionismo tutto ciò che è apparso normale e anzi da esaltare nei vari risorgimenti (L’Italia, per esempio, ha conquistato militarmente la città di Roma per farne la capitale del Paese unificato, mentre era,da secoli, la capitale universalmente riconosciuta di un altro Stato).
Quarto. Il negazionismo diventa operante stato di accusa contro Israele, contro il sionismo, contro la favola della Shoah, soprattutto, e perennemente, contro gli ebrei, che si sentano o no coinvolti nella questione. Il negazionismo li “stana” perche è agente operativo di un rinnovato e rinforzato antisemitismo.
Quinto. Il negazionismo annulla il senso delle guerre popolari di Liberazione in Europa, il senso della Seconda guerra mondiale come descritto da Churchill e da Roosevelt e vissuto da chi vi ha in ogni modo partecipato. Inoltre ridicolizza il Processo di Norimberga. Per tutte queste ragioni una legge contro il negazionismo è necessaria. Non è contro una opinione, è contro un fatto, anzi un reticolato di fatti falsi, ciascuno dei quali spinge e incoraggia e conferma l’altro. In tal modo libera gli antisemiti da ogni limitazione, ragione o rischio di vergogna, giudizio negativo o esclusione dalla comunità. È una bomba a grappolo con conseguenze ulteriori, oltre il danno immediato, alcune neppure prevedibili. È una autorizzazione a procedere contro ogni ebreo, con licenza di seminare disprezzo e ridicolo per chi difende e denuncia. E’ utile ripetere: stimo parlando di un fatto. I fatti criminali devono sempre essere raggiunti, comunque puniti, se possibile cancellati, da una legge.