Fonte:
il Fatto Quotidiano
Autore:
Luca Pisapia
Dai “nazisti dell’Illinois” a quelli dell’Hellas Verona
Dodici macchine parcheggiate a svastica (immortalate dal quotidiano “l’Arena”) alla festa degli ultras scaligeri. Breve storia della curva più eversiva d’Italia
Dalle svastiche apparse in curva sin dai primi Anni Ottanta alla svastica nel parcheggio dell’altro giorno, disegnata con le macchine posteggiate all’ingresso dei capannoni che ospitano la festa dei tifosi dell’Hellas Verona. Il filo nero che lega generazioni di tifosi veronesi sembra non esserci spezzato con gli anni. La foto, divenuta virale sul web, immortala sedici auto parcheggiate sul prato del vallo di via Città di Nimes, dove dal 31 maggio si è tenuta l’annuale festa del tifo scaligero. Doveva essere una festa con musica, stand enogastronomici e giochi per i bimbi, oltre a “goliardiche” Olimpiadi con campari a ostacoli, sollevamento obesi e goto sincronizzato, organizzata dall’associazione culturale Verona Beat su terreni messi a disposizione come ogni anno gratuitamente dal Comune. Ovviamente l’associazione Verona Beat è di estrema destra, ha fatto campagna per Alternativa Sociale: alleanza elettorale di Alessandra Mussolini insieme ai neofascisti Roberto Fiore e Adriano Tilgher. E alla festa suonavano gruppi di estrema destra come i Sumbu Brothers e i 1903.
Ma nella Verona di Tosi tutto questo è tollerato. La svastica disegnata con le macchine però no: fotografata da un passante e finita sul quotidiano l’Arena di Verona, ha scatenato un putiferio. Ieri il procuratore Mario Giulio Schinaia ha detto di ravvisare in quella foto “la sussistenza del reato di propaganda del nazismo e dell’odio razziale” già punito dalla Legge Mancino.
Poi ha aggiunto che sull’accaduto non sarà aperta una nuova inchiesta, semplicemente perché quella foto finirà agli atti di una più grande inchiesta partita da alcuni mesi sulla curva dell’Hellas Verona e coordinata dallo stesso procuratore. E tornano alla mente vecchie inchieste, come quella che nel 1987 segna la svolta nel mondo delle curve italiane con la prima indagine per “associazione a delinquere”. Nel dicembre dell’anno prima le Brigate Gialloblù si sono infatti rese protagoniste di un pomeriggio di ordinaria follia a Brescia: violenti scontri con le forze dell’ordine, devastazione di bar e negozi, auto e cassonetti date alle fiamme. A febbraio la Procura della Repubblica di Verona arresta dodici membri della curva scaligera per “associazione a delinquere”. È la prima volta in Italia. Nelle perquisizioni a casa degli arrestati si trovano coltelli, spranghe, passamontagna e, soprattutto, manifesti e volantini di estrema destra. L’inchiesta scopre infatti un giro di criminalità e violenza che si lega indissolubilmente con i gruppi dell’estrema destra veneti e lo spaccio di droga. È la Verona del primo storico scudetto di Osvaldo Bagnoli in campo, ma è anche la Verona di Ludwig e del neofascismo in città. La curva scaligera in breve tempo diventa simbolo di quelle tifoserie gestite dai narco-camerati che negli anni a venire avrebbero preso sempre più piede sugli spalti, un po’ in tutta Italia. Nate negli anni Settanta e già posizionate all’estrema destra, dove il riferimento alla brigate è a quelle nere mussoliniane, le Brigate Gialloblù si gemellano presto con altre curve di estrema destra come Chelsea – storico lo striscione gialloblù esposto nella temibile Shed End di Stamford Bridge – e Inter – gemellaggio poi rotto per i boati razzisti veronesi a Ronaldo.
PER TUTTI gli Anni Ottanta nella curva dell’Hellas Verona fanno capolino svastiche, celtiche, striscioni e simbologia fascio-nazista varia. Dissolte le Brigate Gialloblù, a metà degli Anni Novanta i loro eredi si presentano con un manichino nero impiccato in curva, sopra la scritta “dategli lo stadio da pulire”, per opporsi all’acquisto il primo giocatore nero della storia del club: l’olandese Maickel Ferrier. Più recentemente si sono viste in curva anche bandiere di Alba Dorata, e si sono sentiti cori ingiuriosi nei confronti di migranti morti in mare o di Piermario Morosini, l’ex giocatore del Livorno deceduto sul campo. Un milieu culturale e ideologico che ha radici lontane, da cui prende forma la svastica disegnata l’altro giorno con le macchine sul prato del vallo di via Città di Nimes.