Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Lorenzo Cremonesi
«Crimine atroce contro l’umanità»
Abu Mazen riconosce l’Olocausto
La prima volta del leader palestinese. Netanyahu scettico
Quanto è accaduto agli ebrei nell’Olocausto è il più atroce crimine contro l’umanità dell’era moderna
Storia, memoria del dolore e polemica politica sono puntualmente aggrovigliate tutte le volte che palestinesi e israeliani tornano a trattare di Olocausto. Avveniva quando il mondo arabo in toto abbracciava le tesi negazioniste e si ripete oggi, che il presidente palestinese per la prima volta denuncia pubblicamente e senza ombre la Shoah come «il crimine più odioso contro l’umanità nella storia moderna». Mahmoud Abbas ha reso noto ieri, tramite l’agenzia palestinese Wafa, una dichiarazione mirata a fugare ogni dubbio sulla condanna dello sterminio nazista di sei milioni di ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Un’occasione ai suoi occhi per cercare tra l’altro di rilanciare i colloqui di pace, proprio in concomitanza della «Giornata della Memoria», ormai assurta a cerimonia centrale della liturgia statuale israeliana. Nel documento esprime il suo «cordoglio per le famiglie delle vittime» e aggiunge: «L’Olocausto riflette un concetto di discriminazione etnica e razziale che i palestinesi rifiutano e combattono con determinazione». Ma, se il tempismo calibrato con le commemorazioni della Shoah sembrava perfetto per raccogliere le simpatie israeliane, quello con i ritmi della politica si è dimostrato perdente. Da giovedì il governo di Benjamin Netanyahu ha infatti congelato qualsiasi negoziato con l’Autorità palestinese. Gli sforzi di mediazione americani, che peraltro erano già ad un punto morto, sono sospesi. E ciò in conseguenza della firma dell’accordo per la nascita di un governo unitario tra Abbas e l’organizzazione fondamentalista islamica Hamas, che Israele (assieme a Stati Uniti e Unione Europea) accusa di terrorismo. Ancora nel 2oo9 i dirigenti di Hamas si opposero a che le scuole delle Nazioni Unite nella striscia di Gaza insegnassero la storia dell’Olocausto agli studenti palestinesi. «Piuttosto che rilasciare dichiarazioni mirate ad ingraziarsi la comunità internazionale, Abbas deve scegliere tra Hamas e la pace con noi. Non può affermare che l’Olocausto fu una terribile tragedia e allo stesso tempo abbracciare coloro che vogliono la distruzione del nostro popolo», ha replicato ieri il premier israeliano in occasione della riunione settimanale del suo gabinetto. Così, una mossa di apertura, che una ventina di anni fa sarebbe sembrata miracolosa e foriera di nuove intese, è rapidamente rimasta avvelenata da controversie e sospetti. Due falchi nel governo Netanyahu, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e quello dell’Intelligence Yuval Steinitz, rilanciano sulla rete vecchie accuse nei confronti di Abbas. La più grave, quella di aver scritto in gioventù una tesi di dottorato all’università di Mosca (pubblicata poi nel 1983), in cui sminuiva la dimensione dell’Olocausto e imputava ai dirigenti sionisti di aver collaborato con i nazisti per mettere in atto lo sterminio con l’intento di spingere gli ebrei ad emigrare in Palestina. Già in passato lo stesso Abbas aveva comunque rimesso in discussione il suo libro e ritrattato i temi più controversi. Durante un’intervista, pubblicata dalla stampa israeliana nel 2011, affermò di «non aver mai negato l’Olocausto» e di accettare da cifra dei sei milioni di morti». Restano tematiche bollenti. Sin dal 1948, le due parti si sono furiosamente scontrate su ogni possibile parallelo tra la Shoah e la Nakba (la catastrofe), come i palestinesi definiscono l’espulsione di oltre 700.000 di loro dalle terre diventate parte del nuovo Stato ebraico. Tutt’ora non è difficile trovare nelle librerie di tutte le capitali arabe le copie rivedute in chiave anti-israeliana del Mein Kampf di Hitler, dei Protocolli dei Savi di Sion e della peggiore letteratura antisemita europea. I toni del contrasto si sono solo in parte affievoliti dopo la pubblicazione quattro anni fa di Arabi e Olocausto: un libro importante, scritto dal libanese Gilbert Achar (docente universitario a Londra), in cui si denunciano le «cecità» dell’atteggiamento arabo. Ma che il soggetto scotti è ancora testimoniato dalle ultime accuse a Gaza e in Cisgiordania contro Mohammad Dajani, professore all’università palestinese Al Quds di Gerusalemme, il quale ha dovuto prendersi «una lunga vacanza» dopo essere stato imputato di «tradimento» per aver condotto 27 suoi allievi in visita ad Auschwitz.