4 Novembre 2013

Eretta una statua dell’ammiraglio Horthy, reggente d’Ungheria dal 1920 al 1944

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Maria Serena Natale

Stelle di David e svastiche sotto la pioggia, centinaia di manifestanti, due cortei contrapposti, scene dal Novecento nel centro di Budapest. Tutto per una statua dell’ammiraglio Miklos Horthy, reggente d’Ungheria dal 1920 al 1944, inaugurata ieri a poca distanza dalla sede del Parlamento in una cerimonia promossa dal partito di estrema destra oggi terza forca politica, Jobbik. La tempistica era studiata sul 75° anniversario del Primo arbitrato di Vienna con il quale, dopo l’Accordo di Monaco del 1938, i nazifascisti costrinsero la Cecoslovacchia a cedere ampi territori all’Ungheria mutilata dal Trattato del Trianon del ’20: occasione ideale per esaltare quell’intreccio di miti nazionali e sentimenti revanscisti sul quale Jobbik ha costruito la propria piattaforma programmatica, assecondando pulsioni xenofobe e antisemite mai così forti dal Dopoguerra in un Paese che accoglie una tra le più antiche ed estese comunità ebraiche d’Europa. Circa 437 mila ebrei deportati in 56 giorni: accadeva nel 1944 sotto la reggenza dell’ammiraglio alleato di Hitler. Gli ebrei ungheresi vittime dell’Olocausto furono oltre mezzo milione. Rendere omaggio al leader di quei tempi bui, nell’Ungheria che non ha ancora un giudizio storico condiviso su Horthy e che come il resto del Centro-Est europeo guarda al periodo nazista attraverso la lente deformata dell’oppressione sovietica, significa concedere ulteriore terreno a un partito che in questi anni ha portato in Parlamento una retorica pericolosamente aggressiva nei confronti delle minoranze. Ieri le preoccupazioni dei politici locali e del partito conservatore di governo, la Fidesz del premier Viktor Orbàn, si sono limitate al potenziale danno d’immagine per il Paese e alle attese reazioni della «stampa occidentale di sinistra». Ma le tensioni alimentate da Jobbik sotto la copertura del dibattito storiografico scavano nel profondo, soprattutto in tempi di recessione e vicine elezioni, quando è più forte la tentazione di trovare bersagli alla rabbia e alla paura.