Fonte:
L’Osservatore Romano
Per un mondo senza antisemitismo
Un appello affinché «l’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna» e un invito alle nuove generazioni a non abbassare la guardia non solo contro l’antisemitismo ma anche contro ogni forma di razzismo. Sono i principali contenuti del discorso rivolto da Papa Francesco ai rappresentanti della comunità ebraica di Roma, nell’udienza di questa mattina, venerdì 11 ottobre, e del messaggio indirizzato al rabbino capo della stessa comunità, in occasione del settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei della città. Nell’incontro odierno il vescovo di Roma ha voluto innanzitutto sottolineare «lo sviluppo di rapporti amichevoli e fraterni» tra ebrei e cristiani, che ha caratterizzato questi ultimi anni, soprattutto dopo il Vaticano II. Un’amicizia, ha aggiunto, alla quale «spero di contribuire qui a Roma» così come «ho avuto la grazia di fare con la comunità ebraica di Buenos Aires». Ricordando la tragedia vissuta dalla comunità ebraica durante l’ultima guerra il Pontefice, rinnovata l’assicurazione della vicinanza spirituale e della preghiera per le vittime, ha ripetuto quanto aveva già detto il 24 giugno scorso nell’udienza al Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose: «Un cristiano non può essere antisemita» perché le sue radici «sono un po’ ebree». Con il messaggio al rabbino capo e alla comunità ebraica di Roma, Papa Francesco ha inteso unirsi alla commemorazione di quelle «tragiche ore dell’ottobre 1943» quando gli ebrei di Roma furono deportati dai nazisti nei campi di sterminio. «È nostro dovere — ha scritto tra l’altro — tenere ben presente davanti ai nostri occhi il destino di quei deportati, percepire la loro paura, il loro dolore, la loro disperazione, per non dimenticarli». Ma fare memoria «non significa averne semplicemente un ricordo; significa soprattutto — ha scritto ancora — sforzarci di comprendere qual è il messaggio che esso rappresenta per il nostro oggi» per vivere diversamente il presente e illuminare il futuro.
L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna. Lo ha ripetuto Papa Francesco durante l’udienza concessa questa mattina, venerdì 11 ottobre, ai rappresentanti della comunità ebraica di Roma nell’approssimarsi del settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei dall’Urbe.
Cari amici della Comunità ebraica di Roma, Shalom!
Sono contento di accogliervi e di avere così la possibilità di approfondire e di allargare il primo incontro avuto con alcuni vostri rappresentanti lo scorso 20 marzo. Saluto tutti con affetto, in particolare il Rabbino Capo, Dottor Riccardo Di Segni, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Anche per quel ricordo del coraggio del nostro padre Abramo quando lottava col Signore per salvare Sodoma e Gomorra: “e se fossero trenta, e se fossero venticinque e se fossero venti…” E’ proprio una preghiera coraggiosa davanti al Signore. Grazie. Saluto anche il Presidente della Comunità ebraica di Roma, Dottor Riccardo Pacifici, e il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Dottor Renzo Gattegna. Come Vescovo di Roma, sento particolarmente vicina la vita della Comunità ebraica dell’Urbe: so che essa, con oltre duemila anni di ininterrotta presenza, può vantarsi di essere la più antica dell’Europa occidentale. Da molti secoli dunque, la Comunità ebraica e la Chiesa di Roma convivono in questa nostra città, con una storia — lo sappiamo bene — che è stata spesso attraversata da incomprensioni e anche da autentiche ingiustizie. E una storia, però, che, con l’aiuto di Dio, ha conosciuto ormai da molti decenni lo sviluppo di rapporti amichevoli e fraterni. A questo cambiamento di mentalità ha certamente contribuito, per parte cattolica, la riflessione del Concilio Vaticano II, ma un apporto non minore è venuto dalla vita e dall’azione, da ambo le parti, di uomini saggi e generosi, capaci di riconoscere la chiamata del Signore e di incamminarsi con coraggio su sentieri nuovi di incontro e di dialogo. Paradossalmente, la comune tragedia della guerra ci ha insegnato a camminare insieme. Ricorderemo tra pochi giorni il 70° anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma. Faremo memoria e pregheremo per tante vittime innocenti della barbarie umana, per le loro famiglie. Sarà anche l’occasione per mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinché non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo. L’ho detto altre volte e mi piace ripeterlo adesso: è una contraddizione che un cristiano sia antisemita. Un po’ le sue radici sono ebree. Un cristiano non può essere antisemita! L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna! Quell’anniversario ci permetterà anche di ricordare come nell’ora delle tenebre la comunità cristiana di questa città abbia saputo tendere la mano al fratello in difficoltà. Sappiamo come molti istituti religiosi, monasteri e le stesse Basiliche Papali, interpretando la volontà del Papa, abbiano aperto le loro porte per una fraterna accoglienza, e come tanti cristiani comuni abbiano offerto l’aiuto che potevano dare, piccolo o grande che fosse. In grande maggioranza non erano certo al corrente della necessità di aggiornare la comprensione cristiana dell’ebraismo e forse conoscevano ben poco della vita stessa della comunità ebraica. Ebbero però il coraggio di fare ciò che in quel momento era la cosa giusta: proteggere il fratello, che era in pericolo. Mi piace sottolineare questo aspetto, perché se è vero che è importante approfondire, da entrambe le parti, la riflessione teologica attraverso il dialogo, è anche vero che esiste un dialogo vitale, quello dell’esperienza quotidiana, che non è meno fondamentale. Anzi, senza questo, senza una vera e concreta cultura dell’incontro, che porta a relazioni autentiche, senza pregiudizi e sospetti, a poco servirebbe l’impegno in campo intellettuale. Anche qui, come spesso amo sottolineare, il Popolo di Dio ha un proprio fiuto e intuisce il sentiero che Dio gli chiede di percorrere. In questo caso il sentiero dell’amicizia, della vicinanza, della fraternità. Spero di contribuire qui a Roma, come Vescovo, a questa vicinanza e amicizia, così come ho avuto la grazia — perché è stata una grazia — di fare con la comunità ebraica di Buenos Aires. Tra le molte cose che ci possono accomunare, vi è la testimonianza alla verità delle dieci parole, al Decalogo, come solido fondamento e sorgente di vita anche per la nostra società, così disorientata da un pluralismo estremo delle scelte e degli orientamenti, e segnata da un relativismo che porta a non avere più punti di riferimento solidi e sicuri (cfr. Benedetto XVI, Discorso alla Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010, 5-6). Cari amici, vi ringrazio per la vostra visita e invoco con voi la protezione e la benedizione dell’Altissimo per questo nostro comune cammino d’amicizia e di fiducia. Possa Egli, nella sua benevolenza, concedere ai nostri giorni la sua pace. Grazie