Fonte:
Università degli studi di Torino dipartimento di studi politici
Autore:
Daniela Rana
La tesi di dottorato è stata discussa nell’ Anno Accademico 2011 – 2012
Tutors: Prof.ssa Simona Forti – Prof. Bruno Bongiovanni
“On n’a gazé que les poux”. Le radici culturali e teorico-politiche dei negazionismi tra Italia e Francia
dall’ INTRODUZIONE
“À Auschwitz on n’a gazé que le poux”. Questa frase lapidaria pronunciata nel 1978 dall’ex commissario generale per le questioni ebraiche sotto il regime di Vichy, Darquier de Pellepoix, in occasione di un’intervista a “L’Express”, concentra in poche parole il credo del fenomeno negazionista, sotto qualsiasi forma esso si presenti. L’idea che ad Auschwitz, metonimia dello sterminio ebraico, siano stati gasati solo i pidocchi serve, infatti, da minimo comun denominatore alle varie matrici del negazionismo. Nella presente ricerca, si analizzeranno le radici culturali e teoricopolitiche dei negazionismi tra Italia e Francia, tentando di comprendere quali siano i diversi approcci alla questione della Shoah e quali le loro differenti origini culturali e politiche. Sarà utile, in sede preliminare, chiarire cosa si intenda per “negazionismo” nel presente lavoro: sostanzialmente si fa riferimento al tentativo di negare che la Shoah sia mai avvenuta, respingendo l’idea dell’intenzione di sterminio del popolo ebraico da parte del regime nazista. Occorre sottolineare che, nel pensiero di questi autori, non sono mai messe in discussione le persecuzioni o le discriminazioni nei confronti degli ebrei, ma l’esistenza di un’intenzione progettuale di sterminio nei confronti del popolo ebraico. Da tale postulato, derivano poi i vari capisaldi storico-tecnici della teoria negazionista: intanto, fondamentale risulta la convinzione dell’inesistenza di camere a gas per la perpetrazione dello sterminio. Esse, laddove esistevano, servivano, come riassunse Darquier de Pellepoix, a disinfettare gli indumenti dai pidocchi (parassiti portatori di tifo petecchiale uno dei grandi flagelli dei lager). In secondo luogo, la Endlösung der Judenfrage -Soluzione finale della questione ebraica- viene interpretata, in mancanza di un ordine scritto di Hitler o di qualsiasi alto grado delle gerarchie naziste, come un piano di emigrazione degli ebrei europei verso est. Infine, il gran numero di vittime, lungi dall’essere accostabile alle cifre ufficiali, fu dovuto, in realtà, non ad un disegno omicida ma ad una serie di concause: epidemie di tifo, sottoalimentazione e malnutrizione, durissime condizioni lavorative, bombardamenti alleati, severità dell’apparato di autoamministrazione dei campi (i cosiddetti kapò). Di conseguenza, ogni forma di potenziale prova storica della Shoah è decostruita secondo argomentazioni ricorrenti: le confessioni di ex SS, specialmente a Norimberga, vengono interpretate sia come estorsioni sia come volontarie assunzioni di colpe non vere al fine di mitigare la propria condanna, ormai certa; le testimonianze di sopravvissuti sono considerate dei falsi o, molto più frequentemente, costruzioni in cui frammenti di realtà si mescolano indissolubilmente a racconti e rimandi dei lager, in un gioco di specchi che alimenta se stesso. Si preferirà, in questa sede, parlare di “negazionismi”, al plurale, proprio perché le loro varie manifestazioni, pur conservando quel minimo comun denominatore sopra accennato, differiscono in maniera così ampia per retroterra ideologico e culturale, ragioni di fondo e modo di concepire la Shoah, da non poter essere ricondotti ad un’unica categoria. Si prendono principalmente in considerazione i fenomeni negazionisti tra Italia e Francia: in Italia, infatti, il negazionismo non è stato studiato in maniera approfondita come in Francia, anche per il fatto di essere nato molto tempo dopo e di aver a lungo sofferto di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti della Francia, che al negazionismo diede i natali. Il rapporto tra negazionismo francese e italiano si potrebbe, per molti aspetti, studiare come il rapporto tra un fenomeno e la propria filiazione, in cui non è possibile comprendere appieno l’uno senza scandagliare anche l’altro. Proprio per queste ragioni, una ricostruzione genealogica dei negazionismi dal punto di vista teorico-politico si rende necessaria: senza un lavoro di questo genere, si arriverebbe, al massimo, ad analizzare le argomentazioni negazioniste, ma non le ragioni e i percorsi decennali che sono confluiti, come in uno sbocco naturale, in tali fenomeni.