Fonte:
Osservatorio antisemitismo
Autore:
Giorgio Sacerdoti
La sentenza con cui il Tribunale di Roma ha respinto l’azione civile per diffamazione di Claudio Moffa contro la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC onlus, è anche una guida alla condotta che enti e persone dell’ebraismo possono opportunamente tenere presente nel replicare ad antisemiti, negazionisti o antisionisti.
1. Moffa si doleva che l’azione del CDEC di indicare i siti da lui gestiti come antisionisti /negazionisti era diffamatorio nei suoi confronti perché ciò non sarebbe veritiero ( a p.1 della sentenza).
2. Il CDEC ha replicato che la Relazione sull’antisemitismo del CDEC dove essi erano così qualificati non attribuiva alcun reato a Moffa; che la relazione da atto delle “ambiguità” di certe posizioni; che tali siti rifiutano la definizione di antisemiti; che Moffa “ha acquisito e cercato notorietà proprio come esponente di tesi che sono state pubblicamente giudicate come negazioniste, conquistandosi notorietà” invitando al suo Master universitario a Teramo Robert Faurisson “condannato in Francia per aver negato pubblicamente l’esistenza delle camere a gas”, limitandosi a raccogliere informazioni pubblicamente disponibili al riguardo ( a p.2)
3. che il CDEC ha così “esercitato liberamente il proprio pensiero e il proprio diritto d’informazione/critica dando una collocazione sistematica dei siti italiani ritenuti antisionisti e negazionisti” ( a p.2). Il Giudice ha dato atto dei contenuti della Relazione sull’antisemitismo del CDEC, citando i riferimenti a Moffa e ai suoi siti ( a p.2-4) e dando atto che il CDEC ivi pure specifica che tali siti rifiutano la definizione di “antisemiti”.
4. Ciò premesso, il Giudice ha richiamato i principi consolidati sulla libertà di critica e di cronaca, legittimati dalla utilità sociale dell’informazione, della forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, ovvero non eccedente rispetto allo scopo informativo, sottolineando che il diritto di critica consiste in opinioni che includono il diritto di esprimere una opinione soggettiva dei fatti e comportamenti valutati. La espressione del diritto di critica è legittima quando sia corretto formalmente nell’esposizione, e anche sostanzialmente – in quanto non eccedente quanto strettamente necessario per il pubblico interesse e accompagnato “da una congrua motivazione del giudizio di disvalore”. (a p.5)
5. La critica non è quindi vietata solo “quando sia idonea a offendere la reputazione individuale”, dovendosi bilanciare l’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, che è tutelato quando la critica sia pertinente, in relazione all’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti . “Essa ricomprende anche la facoltà di rappresentare in una luce negativa un personaggio o un’attività di spicco…quando ciò sia frutto di una ricostruzione di fatti finalizzata ad esprimere un giudizio di valore che non si esaurisce in un attacco personale e immotivato, ma in una ragionata ponderazione di situazioni e personaggi di pubblico interesse”. ( a p.5)
6. Il Giudice ha ritenuto che il CDEC si sia attenuto a tali criteri nell’analizzare e riportare l’attività dei siti gestiti da Moffa, e che quindi il CDEC non ha svolto attività diffamatoria (a p.5) ma al contrario abbia esercitato il suo diritto di critica ( a p. 6-7).
7. Per così concludere il Giudice ha esaminato ed elencato la documentazione esibita dal CDEC, cioè le stampate delle notizie pubblicate sui siti di tenore antisionista o negazionista ( elenco a p. 5-6). In particolare il Giudice ha giudicato che “costituisce libera espressione di un’opinione critica e quindi scriminata dall’esercizio di un diritto, il medesimo diritto che l’attore [Moffa] rivendica in riferimento agli scritti pubblicati sul sito” quanto espresso dal CDEC e cioè:
“il nucleo essenziale della critica che viene espressa nella relazione” cioè “l’idea che i siti gestiti da Claudio Moffa sostengano le tesi e le interpretazioni storico-politiche, seppure riferibili a terzi, e si possano per tale ragione essi stessi qualificare come siti “antisionisti” o “negazionisti” o “fortemente riduzionisti dell’Olocausto” ( a p. 6 in fondo) E’ QUESTO IL PUNTO PIU’ IMPORTANTE, CHE SMENTISCE LA PRETESA OBIETTIVITA’ CHE I NEGAZIONISTI O ANTISIONISTI SI AUTO-ATTRIBUISCONO, dichiarando legittima la contestazione a tali pretese, sempre che non svolte in modi che diventino “attacchi personali immotivati”.