Fonte:
L'Espresso
Autore:
Gianni Vattimo
Heidegger antisemita indispensabile
Un grande filosofo e un pensiero sotto accusa. Vattimo risponde all’intervista sui “Quaderni neri” pubblicata nel numero scorso
Dei “Quaderni neri” di Martin Heidegger è forse più interessante la storia esterna che il contenuto filosofico. Non intendo sminuire l’importanza dei testi ora pubblicati (che conosco solo attraverso la lettura di Donatella Di Cesare in “Heidegger e gli ebrei. I ‘Quaderni neri”, Bollati Boringhieri). Ma semmai sottolineare che per ora la loro importanza sembra legata non tanto a ciò che essi dicono, ma agli effetti a cui stanno dando luogo, come appunto il libro della Di Cesare. Il quale è la vera novità, il testo mai ancora scritto che, più che offrire strumenti per rileggere Heidcgger, lo illumina come un vero e proprio documento d’epoca, in cui si riassume una parte decisiva della cultura del Novecento.
Tutto si gioca intorno alla battaglia heideggeriana per il superamento della metafisica. Che egli, come si sa, concepiva come il peccato originale della civiltà occidentale, quella tendenza a identificare l’essere con l’ente, con l’oggetto, che culmina nella riduzione di tutto, compreso il soggetto umano, a «risorsa disponibile», manipolabile secondo criteri matematico scientifici, insomma nel trionfo della tecnica. Che c’entra questo con gli Ebrei? Per Heidegger, essi sono il popolo metafisico per eccellenza: sradicati da ogni rapporto con il territorio – non hanno patria, e dunque non rispondono a un destino storico – sono l’emblema della astrattezza matematica che caratterizza la razionalità moderna.
Si ricorderà qui che Di Cesare è autrice di un libro (“Israele. Terra, ritorno, anarchia”) in cui molti concetti heideggeriani sono messi a frutto in una intensa analisi dell’ebraismo, e che nessuno pensa di accostare ai “Quaderni neri” di Heidegger, «complici» di Auschwitz. Ciò che c’è di comune, però, è quello che Di Cesare illustra nel lungo excursus storico sull’antisemitismo nella filosofia europea. Molti dei terni che ricorrono in questa storia confluiscono nella visione heideggeriana. Che non risulta ovviamente legittimata da questi richiami, ma appare meno contingentemente legata al suo “nazismo”. Con l’excursus storico viene in luce la novità dello studio di Di Cesare, che produce una sorta di corto circuito: mentre si credeva che la questione fosse un modo di processare Heidegger e la sua teoria, qui siamo messi di fronte al fatto che questa teoria è solo la punta di un iceberg che galleggia da secoli nella nostra cultura.
Ma insomma, Heidegger risulterebbe così assolto dalla colpa di aver ” fiancheggiato”, per lo meno, il nazismo e Auschwitz? Ritorniamo così all’aspetto “biografico” del tema. I “Quaderni neri” sono un documento d’epoca ma anche un pezzo della biografia di un pensatore del quale la filosofia del Novecento non può fare a meno. Sul conto del documento d’epoca si deve mettere ancora il mito a cui Heidegger sembra aver ceduto: l’idea tardo settecentesca, già di Hölderlin, che la Germania, non ancora industrializzata e divisa in piccoli stati, potesse essere una nuova Grecia presocratica, quella sognata da Nietzsche, ancora immune dal razionalismo e perciò pre-metafisica.
L’errore anzitutto storico di Heidegger è stato di pensare che questa nuova Grecia potesse essere la Germania di Hitler, stretta fra il comunismo sovietico e il capitalismo anglo-americano, vista come ultimo baluardo dell’Europa umanistica. Ma più grave è stato qui l’errore filosofico di Heidegger, l’idea, contraddittoria con la sua filosofia della differenza ontologica, che potesse risorgere una civiltà pre-metafisica, come se la metafisica potesse essere davvero superata in una civiltà con la presenza dell’essere (che non può mai identificarsi con l’ente presente).
È possibile ritenere che questa auto-contraddizione sia solo una “caduta” del pensatore (che aveva vissuto gli anni drammatici di Weimar e che, anche con l’idea di Israele popolo metafisico, poteva illudersi di ridurre alla ragione filosofica l’antisemitismo hitleriano). Resta da vedere se invece proprio l’esito tragico del nazismo non costringa a rivedere persino la nozione heideggeriana di metafisica e di conseguenza tutta la sua visione della modernità.