Fonte:
Il Messaggero
Autore:
Marco Ventura
«Gli Usa riconoscano Gerusalemme capitale
Per l’Europa un Natale a rischio terrorismo»
Finestre spalancate nell’Ambasciata d’Israele a Roma. Fa caldo. «Sembra di stare a Tel Aviv», dice il nuovo ambasciatore Ofer Sachs, già direttore dell’Istituto israeliano per le esportazioni, a lungo a Bruxelles.
Ambasciatore, Trump ha detto che trasferirà l’ambasciata degli Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, non si opporrà agli insediamenti ebraici in Cisgiordania e rivedrà gli accordi con l’Iran. Musica per le orecchie del premier Netanyahu?
«Il nostro legame con Stati Uniti è molto forte. Qualsiasi valutazione è prematura, vedremo come Trump vorrà strutturare la sua politica estera. Ci piacerebbe molto se spostasse l’Ambasciata a Gerusalemme. Ma dovrà raccogliere tutte le informazioni sulla complessità mediorientale prima di prendere qualsiasi decisione, e sono certo che lo farà. Certe cose dette da candidato sono molto positive, pazienza e vedremo come si comporterà davvero».
Con Trump lavorano personaggi come Steve Bannon, criticato dalle organizzazioni ebraiche…
«Segnali controversi. Aspettiamo di vedere la struttura e le caratteristiche principali dell’amministrazione. Il cuore dell’agenda di Trump nei primi mesi sarà comunque economica e domestica».
Il possibile disimpegno americano dalla Nato avrà conseguenze?
«Sarei sorpreso se un cambiamento sostanziale avvenisse in tempi brevi. Certo l’Europa dovrà rafforzare la sua capacità di intelligence e migliorare lo scambio tra servizi per preservare la propria libertà. Israele non è più l’unico fronte della lotta al terrorismo: la situazione in Medio Oriente influisce sulla sicurezza in Europa».
Arrestati in Francia 7 potenziali terroristi. I cittadini americani invitati a non andare in Europa a Natale. Allarmi giustificati?
«Non ho informazioni concrete e se le avessi non le direi a un giornale. Ma è adesso che le famiglie si riuniscono e i terroristi cercano di provocare il massimo effetto. La logica dice che Natale è un periodo sensibile. E le ultime parole del terrorismo non sono state ancora dette».
Sconfitti in Siria e Iraq, i foreign fighters europei rientreranno per fare attentati?
«Alcuni sono sicuramente già in Europa e la situazione in Siria e Iraq, come in Iran e Yemen, non aiuta. Certi luoghi in Europa sono per loro un buon bersaglio. C’è una sola soluzione: cooperare contro il terrore. Non sarà facile. La capacità dei vostri servizi di sicurezza è nota. E la tolleranza zero del ministro Alfano verso i fanatici che fanno proselitismo è un’ottima scelta».
Sempre più ebrei lasciano l’Europa per Israele. Per l’antisemitismo?
«Due i fattori. II primo è la percezione di una sicurezza e libertà diminuite, in quanto ebrei, in paesi come la Francia. Il secondo lo vediamo in Italia: gli ebrei, anche se in numero inferiore, vanno via per ragioni economiche».
La destra populista europea fa paura?
«Se hai una vita decente, un buon salario e una prospettiva per i figli non c’è problema. Ma l’economia non si muove e la pressione dei migranti economici dall’Africa stressa un contesto già duramente provato. Questo è l’humus ideale per estremisti alimentati dalla paura. Una china scivolosa. C’è bisogno di leader in grado di reagire. In una seconda fase si arriverà a prendersela con gli ebrei. In Italia è diverso. Non c’è ostilità: la comunità ebraica si sente integrata e sicura».
Che cosa può cambiare dopo il referendum costituzionale?
«E un tema interno italiano. Non mi pronuncio pro o contro. Considero però non positivo qualsiasi risultato che possa destabilizzare l’assetto politico nel medio e lungo periodo. Economia e politica sono legate: un altro periodo di instabilità ridurrebbe la capacità dell’Italia di uscire dalla crisi. Se il no vincerà ci sarà instabilità… In un certo senso ci potrebbe essere pure se vincesse il sì, a seconda delle decisioni che si prenderanno».
Qual è lo stato dei rapporti tra Italia e Israele?
«In generale meraviglioso. Ottimo il dialogo con Parlamento, ministeri e tra Netanyahu e Renzi. Non c’è una settimana senza un evento culturale a Roma o in Israele. Ottima la cooperazione scientifica, culturale e sulla sicurezza nazionale».
L’Italia è stata fra i primi paesi a riavvicinarsi all’Iran…
«Non siamo ingenui, fa parte del gioco quando ci sono di mezzo gli affari. Vorremmo però che foste molto rigorosi sull’accordo nucleare: gli iraniani non lo onoreranno. Non scendete a compromessi».
La cooperazione economica Italia-Israele è soddisfacente?
«L’interscambio è limitato: 3 miliardi di dollari. Possiamo fare molto di più. Bene la ricerca e sviluppo, ma dobbiamo monetizzare. L’Italia ha multinazionali con grandi capacità industriali e ingegneristiche, Israele eccelle nell’innovazione. Italiani e israeliani si capiscono: sono aperti, franchi, diretti. Qui mi sento a casa, ma dobbiamo fare più affari insieme».