Fonte:
L'Espresso
Autore:
Enrico Arosio
Quel lato nero di Le Corbusier
Una mostra al Beaubourg celebra il grande architetto. Ma tace del tutto le sue Imbarazzanti simpatie per il fascismo. Che tre libri mettono in luce. E in Francia divampa la polemica
Le Corbusier alla madre, agosto 1940: «Il denaro, gli ebrei (in parte responsabili), la massoneria, tutto questo subirà la giusta legge». Sempre alla madre, ottobre 1940: «Hitler può coronare la sua vita con un’operazione grandiosa: la pianificazione dell’Europa». Il famoso, famigerato ordine nuovo. Sappiamo, sapete tutti com’è andata.
L’autore di queste frasi è proprio lui, l’eroe del movimento moderno, il pianificatore visionario, il genio creativo che la storiografia certifica come il più influente architetto al mondo negli anni 1920-1950: Charles-Edouard Jeanneret detto Le Corbusier, nato a La Chaux-de-Fonds, Svizzera, nel 1887, divenuto francese per ambizione nel 1930, e in Francia morto nel 1965.
Le Corbusier è stato fascista. Un po’ lo si sapeva (e se ne parlava poco). Ma ora emerge con forza: più fascista di quanto si sapesse, antisemita, con qualche simpatia per Hitler. Le polemiche sono avvampate a Parigi, quando ha aperto, il 29 aprile, la grande mostra “Le Corbusier. Mesures de l’homme” al Centre Pompidou, dove l’unica misura mancante è la misura politica. Non c’è traccia delle sue idee politiche negli anni del primo fascismo, della Francia occupata, del regime filotedesco di Vichy. Ben strano, per il Beaubourg, indirizzo topico del sistema culturale francese, e mentre escono tre libri che rileggono Le Corbu illuminandone le zone d’ombra.
Lanciato da “l’Obs” e da “le Monde”, nei media e tra gli intellettuali si è acceso un dibattito che tocca due nervi scoperti. Uno riguarda l’elaborazione culturale della Francia filofascista e filonazista, capitolo a tutt’oggi – spiace dirlo – minimizzato. E uno il mondo degli architetti, per il loro rapporto ambiguo con i regimi. Quello che ha spinto tanti nomi illustri del moderno a corteggiare Stati autoritari e dittature: da Le Corbusier a Piacentini, dagli Speer padre e figlio a Boris Iofan a Philip Johnson, su su fino a oggi, ai Norman Foster e ai Rem Koolhaas che fanno affari con emiri arabi, oligarchi russi, il partito-Stato cinese. Deyan Sudjic, direttore del Design Museum di Londra, la chiama «disponibilità a stringere accordi di tipo faustiano» con il regime al potere, «qualunque esso sia». E veniamo ai fatti. Gli accusatori sono François Chaslin, ex direttore di “L’Architecture d’aujourd’hui”, in “Un Corbusier” (Seuil); Xavier de Jarcy in “Le Corbusier, un fascisme français” (Albin Michel); e Marc Perelman in “Le Corbusier, une vision froide du monde” (Michalon). Il primo dei tre, all’Agence France Presse ha detto che questa vicenda corrisponde a ciò che gli psicoanalisti chiamano «il ritorno del rimosso». Alla luce dei fatti, non è solo una battuta.
Già intorno al 1925 Le Corbusier è affascinato da Mussolini e dal fascismo italiano. Frequenta gli ambienti del partito Le Faisceau, Georges Valois, Marcel Bucard. Stringe un forte legame con Piene Winter, medico-scrittore prossimo all’eugenetica, antilluminista, cultore dell’orientalista René Guénon. Con Winter, che diventa suo medico e trainer personale, l’ambizioso architetto svizzero che dialoga con tutte le avanguardie, dal Werkbund al Bauhaus al Lingotto degli ingegneri italiani, fonda nel 1930 la rivista fascista “Plans”. Poi, dal 1933, con François de Pierrefeu e il mussoliniano Hubert Lagardelle, lancia la rivista “Prélude”, di cui rimane agli archivi lo slogan: «Noi conosciamo gli uomini che la Francia attende. Sono portatori di soluzioni. il loro obiettivo – il nostro – è la conquista dello Stato».
Secondo punto, l’urbanista autoritario. Perché Le Corbu nel 1930 sceglie di diventare francese? Per ambizione: si ripromette incarichi sui grandi lavori pubblici. E invece subisce, lui egocentrico e assertivo, diverse delusioni. Ipotizzata una “città per tre milioni di abitanti”, fallisce il suo Plan Voisin per Parigi, che prevedeva di spianare la Rive droite per reimpostarla come città pianificata su una griglia ortogonale trapunta di alte torri; fallisce il piano monumentale per Algeri; è escluso dal concorso per la Società delle Nazioni a Ginevra. Invano corteggia, lui filofascista, la Mosca dei soviet. Realizza, invece, da architetto veri capolavori modernisti. Le meravigliose ville bianche, la più celebre è la Savoye a Poissy, gli daranno fama imperitura.
È dunque per imporsi come urbanista che tra il 1934 e il ’37 corteggia il potere fascista a Roma, anche in chiave di Africa Orientale Italiana, a pietire un’udienza personale dal Duce che non arriva mai. Oggi gli studi di Chaslin e Perelman rileggono l’intera sua teoria della “Ville radieuse” (1935), la città strutturata, i comportamenti indotti, le case come “macchine per abitare”, in chiave autoritaria; se non «totalitaria» (così si esprime l’architetto tedesco Hans Kollhoff).
Terzo punto. L’appoggio al governo filotedesco di Vichy. Clamorosi i dettagli emersi. Il maresciallo Pétain vi si trasferisce il 1 luglio 1940 dopo l’accordo col tedesco invasore, Le Corbusier il giorno 3. Abita in grandi alberghi. Corteggia i vertici politici fino a ottenere dal ministro degli Interni Peyrouton una nomina per la ricostruzione di aree urbane distrutte; nel maggio 1941 Pétain lo chiama in un comitato per la nuova edilizia. Ritrova l’amico Lagardelle divenuto ministro del Lavoro, il diplomatico-scrittore Jean Giraudoux, altro filotedesco; si lega ad Alexis Carrel, pensatore razzista, filonazista, pro eutanasia. Del resto, a Parigi, Arletty va a letto con un ufficiale della Wehrmacht…
Imbarazzo. Le Corbusier è un architetto e pittore di enorme talento. Ha studiato il déco, teorizzato l’Esprit nouveau (esce ora in edizione italiana il suo importante testo “L’arte decorativa”, Quodlibet), ha amato Picasso, l’antifascista Picasso, spaziato dalla cultura Bauhaus del Weissenhof di Stoccarda all’arte purista, si è misurato con l’avanguardia russa. Ma per brama di gloria, e per imporre il proprio corpus dottrinale, fa anticamera presso chi si renderà complice della Shoah. Disilluso, a un certo punto capisce: Pétain, in senso artistico, è l’Ottocento, e il potere esecutivo è di Pierre Laval. Le Corbu prende le distanze. Ma lo fa tardi. Infine, l’antisemita. Chaslin ne rintraccia le radici nel primo periodo elvetico, quando il giovane architetto maturò antipatie lavorando per industriali orologieri ebrei ( Schwob, Ditisheim, Meyer). Sempre del 1940, alla vigilia delle leggi antiebraiche, ecco un’altra sua lettera: «Gli ebrei passano un brutto momento. Un po’ mi dispiaccio. Ma sembra che la loro cieca brama di denaro abbia corrotto il paese».
Parte di questi documenti era stata rivelata nel 2008 nella biografia di Nicholas Fox Weber “Le Corbusier: A Life” (Knopf), ma passata sotto silenzio. Il settimanale elvetico “Die Weltwoche” oggi scrive di «arte della rimozione». Ma La Fondation Le Corbusier tace; Jean-Louis Cohen, uno dei consiglieri scientifici, denuncia il «carattere manipolatorio» della polemica. E l’architetto Paul Chemetov lo difende su “Le Monde”: era un demiurgo, dice, non un fascista; gli architetti francesi furono «in maggioranza vichyisti», sottolinea, e l’antisemitismo «largamente condiviso». Che scuse sono? attacca Marc Perelman, deplorando «omissione, oblio e giustificazionismo». Quanto a lui, il fascinoso Le Corbu in papillon e occhiali iconici, dopo il 1945 fu riabilitato al volo dalla Francia democratica guidata dal patriota Charles de Gaulle (che aveva disprezzato). Non fu il solo. Sotto questo aspetto, la sua biografia ricorda, in peggio, quella del presidente Mitterrand. Dal 1947 il suo ego di urbanista potè esprimersi in India, chiamato dal presidente Nehru per creare la città di Chandigarh. In Francia, nel 1955, produsse un’ultima meraviglia creativa, Notre-Dame du Haut. Una chiesa; lui che teneva poco alla Chiesa con la maiuscola.
Diciamo che Le Corbu scelse bene il suo nome da Corvo. Volò a lungo, ma con le ali nere. In Europa, nei manuali e nei cuori degli appassionati, oggi vive soprattutto l’architetto delle meravigliose case bianche: moderne, ariose, eleganti, democratiche. Più di quanto egli stesso sognasse.